di Gabriele Ottaviani
La ricerca l’aveva poi svolta Alberto in solitaria, in due furiosi pomeriggi di studio e compilazione. I lucidi consegnati alla Fadalti erano impeccabili per sintesi e contenuti, e neppure l’esposizione era stata male, nonostante Fabrizio si fosse limitato a leggere con tono disinvolto la traccia preparata per lui da Alberto. Al suono della campana, la professoressa aveva chiesto a entrambi come doveva comportarsi con il voto, cioè se il lavoro fosse stato davvero di squadra o soltanto farina del sacco di Fantini. Alberto aveva rassicurato l’insegnante: si era trattato di un cinquanta e cinquanta, una bugia talmente abbacinante da diventare incontestabile se associata al suo faccino pulito. Fabrizio aveva aggiunto che si erano trovati a casa sua per completare la ricerca, quindi forse lui meritava anche mezzo punto in più. La professoressa gli aveva suggerito di tacere, e comunque sul registro personale aveva consegnato un 9 anche alla casella di Lanzutti Fabrizio, evento inedito nella sua intera carriera scolastica anche considerando la voce “Condotta”.
Fratelli, Simone Marcuzzi, DeA Planeta. Dottore in Ingegneria, nativo di Pordenone, autore raffinato, Simone Marcuzzi ha ormai all’attivo diverse prove narrative molto interessanti: quest’ultima non fa affatto eccezione, anzi, è intensa, coinvolgente, avvincente, profonda, delicata, ricca di livelli di lettura e chiavi d’interpretazione, di ampio e classico respiro eppure originale, credibile, solida. Il tema è universale, e al tempo stesso intimo, perché è un argomento in cui chiunque può riconoscersi, anche chi non abbia, o non abbia più, nessuno che abbia per metà il suo stesso sangue. Alberto sembra il destinatario ideale della celebre battuta, l’ultima pronunciata da Beatrice (Stefania Sandrelli), di quel capolavoro che è La famiglia, di Ettore Scola: è un figlio che non dà pensieri, e dunque gli si dedicano meno pensieri, è il classico bravo ragazzo, il bambino perfetto, quello che tutti i genitori dicono di sognare. Lorenzo, invece, il fratello maggiore, appare, soprattutto agli occhi del più piccolo, che viene apostrofato come Zavorra (ma non gli dispiace, perché significa che stanno sempre insieme), ha l’aura del protagonista di mille avventure: le persone, però, lo dice sempre anche Peyton Sawyer mentre disegna tristi semafori fissi sul rosso, vanno sempre via, non possono fare altrimenti, è nella loro natura, la gente, per citare Sergio Claudio Perroni, che manca tantissimo, costantemente, ogni giorno di più, se ne va, smette di colpo, lascia in asso cuori, persone appena cominciate, bambini da finire, tutte cose che non potranno più esserlo, che fingeranno di esserlo, che lo saranno solo per mancanza e mai per presenza, perché lasciare altri a metà è quello che riesce meglio a tutti, finiscono per farlo tutti, lasciare qualcuno solo, lasciarlo ancora più solo, finché non toccherà anche a lui andarsene, lasciare un altro solo, lasciare un altro vuoto, d’altronde siamo qui per questo, siamo fatti per questo, per andarcene sul più bello di qualcun altro, promesse d’assenza sempre mantenute, cose che non smettono mai di essere state. Si cambia, dunque, si cresce, passa il tempo, aumenta quell’innata distanza: ma ci sono cose che non volano, cose che restano, e come si fa a ritrovarsi quando tutto sembra cospirare per il contrario? Su questo, e molto altro, fa riflettere Marcuzzi, con una prosa che è puro godimento. Da non perdere.