di Gabriele Ottaviani
Il confine tra il tornare ogni tanto e il non ritornare affatto in casa era molto sottile…
La giungla, Upton Sinclair, Bibliotheka. Traduzione di Alessandro Pugliese. Qualcuno potrà pensare che sia un’iperbole. Beh, quel qualcuno pensa male. Upton Sinclair è in assoluto uno dei più importanti scrittori, giornalisti, attivisti, saggisti, drammaturghi e chi più ne ha più ne metta non solo della storia degli Stati Uniti d’America, ma di tutto il mondo. E infatti ora come ora, ed è gravissimo, lo conoscono in pochi. I suoi temi, tra l’altro, sono invece più urgenti che mai, visto che siamo in un mondo in cui alla tempia dei lavoratori si punta la pistola della scelta se morire di stenti perché l’azienda che inquina chiude o se morire di cancro perché l’azienda che inquina non chiude, per esempio. Siamo in un mondo in cui esiste ancora il caporalato. Siamo in un mondo in cui la richiesta di un salario è considerata un atto di protervia. Come ti permetti, non ti accontenti della visibilità? No, non mi accontento, perché non ci pago le bollette… La giungla è stato definito La Capanna dello Zio Tom degli schiavi salariati, e non da un influencer qualunque che si compra i follower su Instagram: da Jack London. L’edizione di questo classico data alle stampe da Bibliotheka che ha denunciato la scandalosa condizione dei lavoratori ai mercati di bestiame della progredita e progressista Chicago, nell’anno del Signore millenovecentosei, e ha contribuito alla promulgazione di una legge sulla purezza di animali e medicinali, è un regalo perfetto da farsi, per costruire un mondo migliore, partendo dal quotidiano e dall’impegno costante di tutti. Di gocce, del resto, è fatto il mare… Irrinunciabile.