di Gabriele Ottaviani
Senza che fosse più necessario inseguirlo, il cinema giapponese ha iniziato a (essere fatto) confluire su altri schermi a partire da uno in particolare: non (più, non solo, non ancora) il televisore, bensì il monitor del computer, “una superficie su cui transitano le immagini, [su cui l’informazione] si addensa, […] si arresta per un attimo, interagisce con l’ambiente circostante, si ricompone talvolta in una nuova forma, per poi ripartire per altri punti, in una sorta di movimento continuo”.
To the digital observer – Il cinema giapponese contemporaneo attraverso il monitor, Giacomo Calorio, Mimesis. Il Giappone non è solo manga, è ovvio, anzi: l’arte nipponica è un bouquet profumatissimo e vario assai, una cornucopia che gronda saporite e preziose primizie. Ne sappiamo però troppo poco, perché molto diverse, nonostante nel mondo globale ormai per fortuna i confini non solo di fatto, con buona pace delle miserie di qualcuno, non esistano ma non abbiano soprattutto nemmeno ragione di esistere, sono le culture che si confrontano: un testo come quello di Calorio, preciso, puntuale e dettagliato, è pertanto un’utile e istruttiva guida. Da leggere.