di Gabriele Ottaviani
Verso sera una calura soffocante calò sulla città. Minacciava temporale. Sistemai Rebecca nella camera di fianco alla mia, insieme a Shakespeare, perché quel voltagabbana del mio cane la seguiva come un’ombra e mi aveva quasi dimenticato. Li chiusi dentro a chiave, privazione della libertà di cui Marcus non si indignava più da quando la nostra insopportabile artista, una notte, aveva cucito insieme tutte le sue cravatte per formare un tappeto lungo due metri, che Lauren trovava «sublime» e su cui aveva immediatamente esercitato il diritto di prelazione piazzandolo nella sua camera. Il mio socio era stato costretto a ripristinare la sua collezione, non avendo speranze di recuperare il maltolto. Quella notte, in casa regnava una pace assoluta, tutto il contrario del baccano a cui ero abituato. Faceva così caldo che dormii nudo. Verso l’una sentii qualcosa infilarsi nel mio letto. Gridai e balzai su, avvolto nel lenzuolo a mo’ di toga, pronto a difendermi. Era Rebecca. Sull’onda della sorpresa e della collera l’agguantai per il bavero del pigiama e la buttai giù dal letto. Lei mi lanciò un’occhiata colma di rimprovero. «Avevi detto che non mi avresti mai lasciato.» «Ah, adesso parli!» esclamai rabbioso. «Ho sempre parlato», si difese lei. «In un mese mi avrai rivolto la parola, a esagerare, dieci volte…» «Non avevo niente da dire», rispose lei alzando le spalle. Stavo per suggerirle due o tre ideuzze in proposito, quando mi colpì un dato di fatto: «Ma come sei uscita? Ti avevo chiuso in camera». «Lo so. Comunque non farlo più. Non mi piace essere rinchiusa.» «Come sei riuscita ad aprire?» Rebecca indicò la finestra con il mento.
Nella longlist del prestigiosissimo Dublin Literary Awards da poco resa nota c’è anche questo eccellente romanzo che in patria si è già aggiudicato nientedimeno che il Grand Prix du roman de l’Académie Française, e ha entusiasmato stuoli di lettori. Ci mancherebbe altro: è eccellente, sotto ogni aspetto. Adélaïde De Clermont-Tonnerre, giornalista e scrittrice parigina, dà alle stampe per Sperling & Kupfer – traduzione a cura di Margherita Belardetti – L’ultimo di noi, storia entusiasmante che prende le mosse dal tragico bombardamento di Dresda, durante il quale una ragazza muore dando alla luce un bambino. Con le ultime forze lo affida alla carità di estranei, chiedendo loro solo una cosa: che non gli venga cambiato il nome, perché è l’ultimo di noi. Passano quasi venticinque anni e in una New York scintillante un giovane imprenditore rampante morde il successo come una mela succosa, e trova persino l’amore. Ma rischia di perdere per sempre l’adorata Rebecca, per un motivo che riguarda proprio le sue origini, di cui non sa nulla né gli resta alcunché, se non proprio il nome, Werner Zilch: favoloso.