Intervista, Libri

Mario Pacelli e il caso Montesi

51wed8zxfml._ac_uy218_ml3_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Non mi piacciono i film di Anna Magnani: è questo il titolo del bel libro di Mario Pacelli imperniato sul caso Montesi appena uscito per Graphofeel. Convenzionali ha il grande piacere di intervistare l’autore.

Chi era Wilma Montesi?

Era una giovane donna, famiglia piccolo borghese, occasionalmente “comparsa” a Cinecittà, incerta sul suo futuro, senza particolari vizi e virtù.

Sapremo mai la verità completa su questo caso? Qual è l’elemento di questo mistero che più la interessa e la colpisce, e perché?

Sono passati troppi anni, troppi testimoni sono scomparsi e con loro i protagonisti della vicenda: poche le speranze di una risposta univoca sulla fine della ragazza. Delle tante domande rimaste senza risposta, credo che quella fondamentale sia da chi partì l’idea della  morte per pediluvio, esclusa drasticamente dal Tribunale di Venezia.

Sono passati quasi sessantasette anni da quella fatidica notte, ma la società è davvero così cambiata come avrebbe potuto e forse dovuto? Quali sono le dinamiche mediante le quali il potere si relaziona con tutto ciò che lo circonda?

Il contesto sociale in questo Paese è restato nel complesso inalterato: continua a prevalere la “doppia verità”, con una “verità” alternativa sorprendentemente costruita a tavolino avvalendosi della complicità di mille “comparse” che per denaro o per altri motivi, non escluso il ricatto, collaborano alla certo non lusinghiera impresa.

Come si è evoluta nel tempo la percezione dell’idea stessa di scandalo, anche per il tramite dei mezzi di comunicazione di massa?

Sono aumentati gli scandali, intesi come casi di comportamenti illegittimi o solo anti sociali, da parte di persone titolari di cariche e funzioni pubbliche. Non sono mutate le conseguenze: nessuna.

Secondo lei l’Italia è più o meno ipocrita e sessista, ammesso e non concesso che lo sia, oggi rispetto al 1953?

Senz’altro meno ipocrita, ma molto molto meno..

Com’è cambiata in quasi settant’anni la classe politica italiana? E il suo modo di comunicare?

La cellula e l’oratorio hanno cessato dall’essere scuola di formazione politica: ne è derivata una classe politica nuova che, pur se è animata dalle migliori intenzioni è priva di qualunque capacità di Governo della cosa pubblica, con le attuali disastrose conseguenze. È una classe politica che comunica molto, ma comunica pochi contenuti e molte promesse che poi sa già di non poter mantenere: è ormai un costume generalizzato molto pericoloso per la democrazia.

Il caso Montesi sarebbe potuto avvenire dappertutto? O il sottobosco romano che gravita attorno al “generone” che si spartisce appalti e voti ne è inestricabilmente connesso?

Solo nella Roma contaminata degli anni ’50 poteva avvenire quello che avvenne: si saldarono i vecchi e i nuovi interessi e ne uscì fuori un capolavoro… di negata giustizia.

Il litorale frequentato dai romani fa venire subito alla mente due casi di cronaca nerissimi che hanno influenzato anche tanta letteratura e lo schermo, il delitto Montesi e quello del Circeo, ventidue anni dopo, di cui parla anche Edoardo Albinati nel suo monumentale La scuola cattolica: secondo lei si possono considerare avvenimenti figli dello stesso contesto?

Sono casi molto diversi: non deve ingannare qualche somiglianza del contesto sociale. I colpevoli dei fatti del Circeo erano persone con precise responsabilità accertate dai giudici: lo scandalo fu cosa fecero alcuni di loro per cercare di evitare la pena.

Per lei cosa rappresenta la scrittura? E di cosa vorrebbe scrivere ancora in futuro?

Scrivere significa per me presenza nel grande dibattito sociale anche utilizzando i miei ricordi personali: penso di scrivere in futuro una storia (vera) di Cinecittà.

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2 risposte a "Mario Pacelli e il caso Montesi"

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