di Gabriele Ottaviani
Nessun nome nei titoli di coda. Roma è la città della settima arte, Cinecittà è la sua sola vera industria. Nata in epoca fascista, ha attraversato i decenni. E come si fa a non amare visceralmente qualcosa che è fatto della stessa materia della quale sono fatti i sogni, i desideri, le speranze? Un film si fonda su tanto lavoro, su tanta passione, di tante persone: pensate solo alle sequenze in cui la macchina da presa riprende immagini di folle che si radunano in un qualche luogo. Sono mille e più volti, tutti visibili eppure indistinguibili, nomi che appaiono ma nessuno ricorda, identità che non restano stampigliate in nessuna locandina, né nei titoli di coda. Sono le comparse. E a Roma, se dici comparsa, da mezzo scolo e più, dici Spoletini, un cognome, una garanzia, cinque fratelli di Trastevere che hanno edificato l’arte che ha dato lustro al paese, manovali della celluloide: uno di loro, che ormai giovane non è, vorrebbe lasciare traccia di sé, e per questo nasce questa deliziosa e tenerissima lettera d’amore. Il documentario di Simone Amendola è da vedere.