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“La speranza oggi”

71PdAbdm1fL._AC_UL436_.jpgdi Gabriele Ottaviani

J.-P. S.: Lo penso. Ma bisognerà definire bene che cosa voglia dire qui società. Non è la democrazia o la pseudo-democrazia della Quinta Repubblica. Si tratta di un rapporto completamente diverso degli uomini tra di loro. Non è neanche il rapporto socioeconomico che Marx ha contemplato.

L.: Nel tuo estenuante dibattito col marxismo, non hai cercato di fondo ciò che oggi si definisce come desiderio di società, al fine di uscire dalla dialettica della malafede de L’essere e il nulla?

J.-P. S.: Senza alcun dubbio.

L.: Tu hai pensato di aprire una prospettiva morale alla fine de L’essere e il nulla, e poi non abbiamo avuto un libro sulla morale ma questo dibattito col marxismo. Si vede che probabilmente queste due cose sono intimamente connesse.

J.-P. S.: Intimamente.

L.: Tu hai creduto che si sarebbe potuta aggirare la situazione di stallo dove era sfociato L’essere e il nulla mediante il senso della storia per come è stato definito da Hegel e dal   marxismo.

J.-P. S.: Sì, ma solo a grandi linee. E dopo ho pensato che bisognava andare assolutamente altrove. Ed è ciò che sto facendo ora. Ti dirò che questa ricerca dei  veri fini sociali della morale si associa all’idea di ritrovare un principio per la sinistra per come è oggi. Questa sinistra che ha lasciato andare tutto, e che è attualmente schiacciata, che lascia trionfare una destra disgraziata.

L.: E puttana.

J.-P. S.: Dal momento che dico “la destra”, per me ciò vuol dire figli di puttana. Questa sinistra muore, ma allora è l’uomo che muore in questo momento; altrimenti, bisogna che si ritrovino dei principi. Io vorrei che la nostra discussione qui fosse la bozza di una morale e allo stesso tempo il ritrovamento dei veri principi della sinistra.

L.: La prima approssimazione alla quale perveniamo oggi è che il principio della sinistra ha un qualche rapporto, in qualche modo, con il desiderio di società.

J.-P. S.: Assolutamente, e con la speranza. Vedi: le mie opere sono uno scacco. Non ho detto tutto ciò che volevo dire né nel modo in cui avrei voluto dirlo. Certe volte, nella mia vita, questo mi ha ferito profondamente e, altre volte, ho ignorato i miei errori e pensato che avevo fatto ciò che avevo voluto. Ma adesso, non penso più né l’una né l’altra cosa. Io penso che ho fatto più o meno ciò che ho potuto, che valeva quel che valeva, il futuro smentirà molte delle mie affermazioni; io spero che alcune saranno conservate, ma comunque c’è un movimento lento nella storia verso una presa di coscienza dell’uomo sull’uomo. In quel momento, tutto ciò che sarà stato fatto in passato prenderà il suo posto, il suo valore.      Per esempio ciò che io ho scritto. È questo che donerà a tutto ciò che abbiamo fatto e faremo una sorta d’immortalità. In altre parole, bisogna credere nel progresso. E potrebbe essere una delle mie ultime ingenuità.

Jean-Paul Sartre, Benny Lévy, La speranza oggi – Le interviste del 1980, Mimesis. A cura di Maria Russo. Non è la Titina, eppure c’è chi la cerca e non la trova. È la sinistra. Ed è per certi versi decisamente sconfortante il fatto che la situazione fosse questa già quasi quarant’anni fa, quando certe ideologie comunque, bene o male, erano ancora in piedi, i sindacati avevano ancora una rappresentanza e si ponevano con alterità rispetto ai padroni, quando pensatori di straordinario prestigio erano ancora vivi, quando la politica era vissuta vibrando di speranza, quando ci si vergognava, e non ci si inorgogliva, dei pensieri meschini e delle cose che non si sapevano, e ci si poneva come obiettivo di migliorare, quando non ci si nascondeva dietro a un monitor per dare sfogo alla propria pochezza: Sartre e Lévy conversano, e le loro parole sono più attuali e significative che mai.

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