Di lupi e spettri non se ne intravedevano ma le volpi si facevano sentire e i loro sinistri guaiti incentivavano a marciare con sollecitudine. Finalmente, alla vista dei lumi di Precacore, mi ero rinfrancato. Parecchi chilometri assonnati e tortuosi mi insegnarono la differenza tra vicinanza apparente e distanza reale. Alla fine giungemmo e allarmammo mia nonna che, dopo averci rifocillati alla buona, non aveva potuto far altro che metterci a letto. Allora non c’erano telefoni cellulari e anzi in tutta Precacore non c’era nemmeno un telefono con i fili. Figuriamoci a Laranghìa di Contachòrion! Manco la luce elettrica avevamo. Il nostro dormiveglia fu scosso da un bussare deciso e insistente. E alla mezzosopranica domanda di mia nonna «Cu è?» corrispose la baritonale risposta di mio padre nel suo inconfondibile italiano regionale di ex soggiornante nelle patrie galere: «Sono ju, sòcera!». «Ci sono li miei giovanotti qua?». Mia nonna accese il lume e aprì la porta. Mio padre teneva l’asina dalla cavezza e mio cugino Cola Ieropoli, che era a Laranghia per aiutare nella mietitura, era dietro l’asina a cavallo di un altissismo mulo imprestato da un vicino di casa. Milìssina, almeno per il nipote Colìno che non vedeva da tanto tempo, tentò inutilmente di trattenerci. Assonnati e infreddoliti fummo rimessi in viaggio. Io cavalcavo a pelo l’asina che mio padre traeva dalla cavezza. Cola Ieropoli era intronato sul basto del mulo e Pietro il Grande gli era dietro, sulla groppa. Dopo alcuni tornanti erano scomparsi dalla nostra vista e li ritrovammo soltanto a casa. Passammo Largadùri, la Cappella, San Pantaleo, Linni, Rocca di Varva, Pista di cavaddu, Marasà, Saracina, Tichìa. Arrivammo che il sole stava spuntando. Nonostante fossimo in piena estate, il freddo dell’Aspromonte mi aveva quasi congelato.
Catalogo della casa di Gianni e altri racconti calabri, Giuseppe Tripodi, Il seme bianco. Giuseppe Mario Tripodi è uomo che conosce l’arte della parola, che sa raccontare, che narra con dovizia di particolari, semplicità, intensità, che descrive vividamente mondi, situazioni, condizioni, atteggiamenti, personaggi. La terra di Calabria, scabra, pura, antica, solenne, specchio, eco, riverbero di tradizioni e sentimenti, non è solo fondale, ma protagonista dalla voce ancestrale e stentorea in quest’armoniosa antologia di racconti, ognuno un vero e proprio romanzo a sé stante, che canta anche per il tramite del dialetto, lingua gozzanianamente delle cose che altrimenti non possono dirsi con vera efficacia perché carissime al cuore, l’amore riamato e quello sofferto, la paura e la speranza, il coraggio e la coscienza, il dolore del ritorno, la passione politica, la consapevolezza del passato e delle proprie radici: Tripodi declina il tempo e il microcosmo familiare, nell’accezione più ampia del termine, attraverso il lessico della quotidianità in cui siamo immersi e definiti, la rassicurante risacca della abitudini che compongono i tasselli dell’anima. Da leggere. Di rara bellezza anche la copertina.