di Gabriele Ottaviani
Sarà tempo di darle marito: parlarne con Porchetto, dice fra sé.
La letteratura di Camilla Salvago Raggi è un tessuto caldo e prezioso, un arazzo finissimo, un vino prelibato che, per non destabilizzare il palato, come ai tempi di Polifemo, è sapientemente amalgamato con acqua e miele profumato, affinché la bontà ne sia esaltata: si immerge e fa immergere nella dimensione proustiana della memoria, prendendo le mosse da storie familiari in cui si riverberano sentimenti universali e riconoscibili, che edificano una connessione comunicativa con tutti i lettori. Lontani parenti (Lindau) è un ritratto assai vivido e di rara piacevolezza di due figure remote nel tempo, due ramoscelli antichi del suo albero genealogico nei cui blasoni compaiono anche, per lo sdegno della nonna, maiali e striglie, che certo non sono eleganti come cavalli rampanti, una Druda – e il nome suggerisce suggestioni prosaiche assai – del dodicesimo secolo e il posteriore magnifico Leonardo, la cui personalità emerge a partire dall’inventario degli oggetti lasciati in eredità, le cose che restano, retaggi che non sono solo materiali, ma rievocano gesti, abitudini che allignano nel cuore, che formano l’identità. Da leggere, rileggere e far leggere.
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