di Gabriele Ottaviani
Il televisore a tubo catodico dominava il soggiorno da un mobile di noce, davanti al tavolo ovale protetto dalla cerata con i pompelmi. Lungo le pareti dell’anticamera, una serie di acquerelli di Montmartre accompagnava nelle camere da letto. Nella stanza da letto c’era ancora il suo primo computer, enorme, sotto il poster degli A-ha comprato a un concerto, accanto all’unica medaglia dei Giochi della Gioventù vinta – per caso? – in una batteria di salto in lungo. Il piumone con le mele ricopriva il materasso a una piazza mentre dalle pareti pendevano le fotografie dietro le cornici a giorno: un compleanno, una gita con Marta, il Natale in montagna, trenta sorrisi di classe sotto trenta ciuffi anni Ottanta. Sulla scrivania, accanto al portapenne di ceramica, la madre aveva sistemato il quaderno verde recuperato dalla spazzatura subito dopo l’incidente che non era stato un incidente. Le sue pagine a quadretti contenevano la prova delle biciclettate fino alla Diga del Pascolo o poco più a nord, davanti all’Isolone di Bertolla, quando Emanuela ed Edoardo si sedevano in riva al Po per osservare gli stormi a fine settembre. Segnavano gli avvistamenti annotando la famiglia – Ardeidae – e la specie, Ardea purpurea, accanto al nome volgare: airone rosso. Matilde era convinta che la figlia fosse diventata veterinaria per confermare al padre il desiderio di condividerne le passioni. Non l’aveva mai vista occuparsi degli esseri umani, neppure delle figlie, con la stessa dedizione con la quale si dedicava agli animali.
Edito da Giulio Perrone e presentato allo Strega di quest’anno da Elisabetta Mondello con la seguente motivazione (Quella metà di noi è un romanzo intenso e coinvolgente, ambientato nella Torino dei nostri giorni, in cui si muovono una folla di personaggi a cui Paola Cereda affida il compito di narrare le contraddizioni e le difficoltà della condizione contemporanea. La storia centrale è quella di Matilde, una maestra in pensione, che per ripagare un debito ricomincia a lavorare prendendosi cura di un anziano. Tutti e tutto la condizionano: le passate esperienze, i familiari, la situazione lavorativa. Lo spostarsi dalla periferia al centro di Torino, la nuova solitudine e le inedite complicità. Il romanzo, sostenuto da una lingua precisa ed essenziale, pagina dopo pagina diviene la narrazione della condizione liminare che, in alcune fasi della vita, tutti dobbiamo affrontare e interroga il lettore sulla possibilità di non restare sulla soglia ma di diventare capace di immaginare, scegliere e progettare il futuro), Quella metà di noi di Paola Cereda, la cui maiuscola qualità di scrittura non ha affatto bisogno di presentazioni, ma si conferma in quest’occasione una volta di più, racconta con raffinatezza rara e profondità commovente, quella che padroneggia con delicata maestria chi sa relazionarsi all’anima delle persone e dei personaggi, e al tempo stesso sa metterne in scena la vita – non è certo un caso che l’autrice sia una psicologa e che ami il teatro: del resto ogni prodotto umano ha in sé la firma dell’artefice, il riverbero della sua esistenza –, la vicenda di Matilde Mezzalama, unica eppure universale. Perché questa donna, come tutti noi, ha segreti che esistono per il piacere di non essere raccontati e altri che si trascinano appresso la vergogna, che possono essere una cena con un ex (a cui si va con la scusa di una riunione di condominio), una pelliccia troppo costosa e inadeguata o altro ancora, e quindi, in cerca di verità, serenità e identità si reinventa, vivendo una vita sospesa fra due altrove, in una città che a sua volta non è semplice sfondo, ma caleidoscopio di pulsante umanità. Da non perdere.
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