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“Bye bye vitamine!”

41gSj2TLvlL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

I motivi per cui ci prendiamo cura l’uno dell’altro possono non avere niente a che fare con la persona di cui ci prendiamo cura. C’entra solo come eravamo noi insieme a quella persona – cosa sentivamo per quella persona. E la paura è questa: che mamma ci abbia dato, e noi abbiamo preso da lei, finché non è scomparsa.

Bye bye vitamine!, Rachel Khong, NN. Traduzione di Silvia Rota Sperti. Straziante, bellissimo, commovente, dolcissimo, intenso, emozionante, entusiasmante, ironico, profondo, ferocemente delicato e delicatamente feroce, schiettamente e spietatamente credibile, travolgente, fa ridere a crepapelle e piangere catarticamente tutte le lacrime che si posseggono, e forse anche qualcuna presa in prestito da qualcun altro, questo gioiello è la storia di Ruth che tiene un diario di un anno. Sì, perché dopo essersi lasciata con Joel torna in California a casa dei genitori che, a differenza del fratello, che sta con un’assistente di volo e vede infatti le cose in maniera molto diversa da lei, non va, per non compromettere il ricordo che ha di loro né guardare in faccia la realtà, mai a trovare. E il momento che sceglie per raggiungerli è dei più sbagliati: Howard, suo padre, Ariete fin nel midollo (è nato il venti di aprile), un autorevole e fedifrago professore universitario di storia di cui lei ritrova un taccuino pieno di struggenti ricordi, oramai non si rende conto – quasi mai: perché ci sono anche momenti in cui si diverte a dipingere saponette con lo smalto trasparente per scherzo… – di quello che fa e non ha più memoria. Soprattutto quella a breve termine è la prima che se ne sta andando. Ma Annie, sua moglie, madre di Ruth, si rifiuta di pronunciare la parola fatidica: è colpa, per lei, di una dieta povera di vitamine, non certo dell’Alzheimer. E chiede alla figlia, che con l’aiuto di Theo, un bravo ragazzo, assistente del padre, organizza, complici pure altri giovani del campus, un finto corso di studi per far sì che il professor Howard possa ancora essere convinto di insegnare, di restare a casa. Per un anno. Trecentosessantacinque giorni, uno dopo l’altro… Un capolavoro.

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