di Gabriele Ottaviani
Hawa le ha chiesto se l’acqua fosse fredda, e anche se Elira ha risposto che era gelata, i ragazzi si sono messi in mutande e l’hanno raggiunta, poi anche Hawa si è gettata in acqua, rimanendo con l’ultimo strato di vestiti addosso. Col freddo i capelli diventavano lisci, l’acqua creava delle chiazze sui loro volti pieni di polvere, erano pallidi e tremolanti. Milad ha lasciato entrare Jawad nell’acqua nonostante il raffreddore. Hawa teneva chiusi gli occhi mentre avvertiva il contatto con l’acqua e si lavava, per una volta, sulle piastrelle blu che potevano sembrare quelle di una piscina, se ci fosse stata meno ruggine. Si è strofinata energicamente la pelle che le si arrossava. C’era un buon profumo. Milad ha immerso la testa di Ibrahim fino a che quello non si è dimenato con gesti sconnessi e non è rimasto a corto di fiato. Ali e Jawad, contenti di vedere uno dei grandi fare una figuraccia, hanno preso i loro vestiti fingendo di portarseli via, e gli altri si sono messi a strillare come pecore sgozzate, allora hanno fatto marcia indietro ridendo, per poi far finta di gettare i vestiti nell’acqua così da fare urlare gli altri ancora un po’. Ed è in quel momento che sono arrivati degli uomini che sbraitavano furiosamente.
Una ragazza nella giungla di Calais, Delphine Coulin, Gremese, traduzione di Alessandro Di Lelio. Si sveglia, affamata, per prima. Tutti gli altri dormono nella tenda blu. Le luci fioche splendono debolmente e rade all’orizzonte. Il vento gelido, un fiato salato, spira dall’Inghilterra. Sono mesi che attende. Ha freddo. Il naso gelato che le gocciola. Se lo asciuga con la giacca. Lo stradone è deserto. E lei è lì, in mezzo, accanto solo un piccione cui manca una zampa, che saltella come se stesse giocando a campana. Come un ragazzo, ma la bella canzone di Sylvie Vartan non c’entra niente. O forse sì. Somiglia a un ragazzo, specialmente da quando s’è tagliata i capelli col coltello. È nella giungla. Non una foresta di liane e mangrovie, ma una bidonville di fango e lamiere, la più grande d’Europa, rifugio per migliaia di clandestini: questa è la sua storia. E non solo. Raccontata con empatia e senza retorica in un libro non solo bello e intenso, ma soprattutto importante. Dal punto di vista etico, civile, morale, sociale, culturale. Da non perdere assolutamente.