di Gabriele Ottaviani
La sessualità neutra e inorganica rappresenta una delle derive degli ultimi 25 anni, mentre l’altra innegabile tendenza, che si affianca e si oppone alla smaterializzazione del corpo digitalizzato e segna un ritorno alla sua realtà fisica, è costituita dalla pornograficizzazione del music video. Se i canali televisivi – come abbiamo detto nel primo capitolo – mantengono le loro regole rigidamente censoree, lo sviluppo del web consente la diffusione di versioni alternative di video musicali con scene di sesso esplicito con amplessi tra donne: il lesbismo resta sempre il soggetto privilegiato dagli anni ’80 a oggi. Knock Yourself Out (2001) di Jadakiss (regia: Little X) – la cui versione “uncensored” è visibile solo sui portali web a luci rosse come Youporn o Youjizz – ci mostra il rapper afroamericano copulare, quasi per tutto il tempo, insieme a tre fanciulle nude (chiaramente pornostar) sul letto, mentre nella versione censurata le scene con ragazze, mai completamente spogliate, sono limitate e per il resto campeggiano le solite automobili sportive. Ancor più esplicito e ben più greve è Sexual Eruption (2007) di Snoop Dogg (regia: Melina e Steven Johnson), altra star dell’hip hop; la location è la solita villa sfarzosa e cafona di Los Angeles stile neoclassico con colonnati e immensi saloni dove pornostar interracial si dimenano alla corte del musicista afroamericano e dei suoi collaboratori; dopo una iniziale coreografi a softcore si passa a sequenze decisamente hardcore, con azioni di gruppo scandite da un rapido montaggio. Il testimone di tutto ciò è lo stesso Snoop Dogg, il quale tuttavia non compare mai nelle inquadrature “ginecologiche”, distinte dai piani “normali”, seppur girate nel medesimo spazio e con le medesime performer (o almeno così parrebbe). Insomma, la logica di operazioni come Knock Yourself Out e Sexual Eruption è molto chiara: basta con l’ipocrisia del mostro/non-mostro e del vedo/non-vedo. Dal momento che, la maggior parte dei clip di musica afro e hip hop è incentrata su rapper che eseguono il brano in playback dentro gli abitacoli di limousine, ai bordi di piscine o in interni extralusso, contornati da splendide ragazze dai bikini quasi inesistenti, che di fatto mimano con i loro movimenti atti sessuali, tanto vale andare oltre. Bisognerebbe, senza falsi pudori, mettere in scena accanto alla pantomima (la copia) anche la rappresentazione nuda e cruda (l’originale), che resta poi il modello di partenza, edulcorato e depurato, per la costruzione di un immaginario edonistico e machista alla base di questo genere musicale. Più raffi nato è l’eros pornografico di Protége-moi, clip per i Placebo girato nel 2004 dal regista francese Gaspar Noé. Con un unico piano sequenza in slow motion (che non può non ricordare la soggettiva nella sequenza dell’orgia di Eyes Wide Shut, 1999, di Kubrick), la macchina da presa di Noé si insinua nei meandri di un club privé, illuminato da un rosso elettrico e soffuso, seguendo due ragazze seminude: intorno a loro una fanciulla si dimena su un tavolo, altre due praticano una (autentica) fellatio a due uomini. Alla fine una delle due giovani comincia a leccare la vulva dell’altra. L’atmosfera creata dal regista francese è decisamente erotica, amplificata da un sapiente uso della luce: per esempio alcuni schermi piatti senza immagini che lampeggiano a intermittenza. Un altro francese, Cédric Blaisbois, si spinge sullo stesso versante con risultati anche più sperimentali in due video prodotti dalla Partizan. In Flesh (2009) per il dj Mr. Flash due donne amoreggiano in modo spinto indossando lingerie fluorescente, illuminate in modo intermittente e stroboscopico. Ancora più riuscito è Corporate Occult (2011), realizzato per il finlandese Huoratron (al secolo Aku Raski): anche in questo caso i corpi (stavolta di una donna e di un uomo: Solweig RedigerLizlow e il regista stesso) sono immersi nell’oscurità, ma filmati con una videocamera a infrarossi (le sequenze, piuttosto esplicite, sono in bianco e nero) mentre fanno l’amore con travolgente e animalesca passionalità, ma alla fine la ragazza si rivela un vampiresco alien che uccide, come una mantide, il malcapitato. A sfidare la censura è stato anche Pussy (2009), realizzato da Jonas Åkerlund per i Rammstein. Nel video i membri della band, mediante titoli di testa, vengono presentati con il loro nome e il rispettivo ruolo, alle prese con una situazione da film a luci rosse. Inizialmente, per quanto osé, le sequenze ci mostrano solo scene di nudo, ciascuna caratterizzata da una differente pratica sessuale (bondage, sadomaso…), ma verso la fine, come in un crescendo, il montaggio si fa sempre più incalzante e Åkerlund (non nuovo a operazioni del genere, pensiamo allo scabroso Smack my Bitch Up) mostra tutti i musicisti con il fallo eretto (non si capisce se vero o finto) impegnati in penetrazioni con diverse donne, fino alla classica eiaculazione conclusiva sulla schiena di una performer. Naturalmente il video – caratterizzato da un registro ironico marchio di fabbrica della band tedesca – è pervaso dall’intento parossistico di caricare fino all’eccesso gli atti sessuali, per svelare l’artificiosità del cinema pornografi co. Di Pussy circola una versione censurata con le sfocature nei momenti hard, ma sui siti porno è possibile vederlo nella sua integrità.
Segni sogni suoni – Quarant’anni di videoclip da David Bowie a Lady Gaga, Bruno Di Marino, Meltemi. Il videoclip è una breve registrazione audiovisiva realizzata per accompagnare o pubblicizzare un brano di musica leggera: da circa quarant’anni la scena del pop è stata rivoluzionata da questo fenomeno che ha di fatto introdotto a vario titolo, proponendo le più varie istanze e i più diversi spunti di riflessione, nel mondo delle sette note l’elemento dell’immagine, con una storia che si evoluta in mille direzioni, seguendo, anticipando, dando vita a nuove tendenze, facendosi via via sempre più policroma, articolata e raffinata: basti solo pensare ai numerosissimi cineasti di prestigio che hanno dato vita a prodotti di questo genere (un esempio su tutti i video girati per gli Indochine – College Boy – e per Adele – Hello: quasi due miliardi e quattrocento milioni di visualizzazioni su YouTube… – dal geniale Xavier Dolan, regista eccelso, autore di opere d’arte come J’ai tué ma mère, Les amours imaginaires, Laurence Anyways, Tom à la ferme, Mommy, Juste la fin du monde) e ai filmati che, anche proprio grazie alla maggiore fruibilità che in tempi moderni garantiscono i social network e le varie piattaforme sul web come quella succitata, hanno fatto e fanno letteralmente epoca, assurgendo alla soglia di veri e propri punti di riferimento che si fanno strada e si imprimono nell’immaginario collettivo. Thriller, di Michael Jackson, supera il mezzo miliardo di visualizzazioni sul già nominato YouTube, La isla bonita (Madonna) oltrepassa d’un balzo la quota degli ottantacinque milioni, Purple rain (Prince) i settantadue, …Baby one more time (Britney Spears) i trecentocinquantaquattro, What goes around… comes around (Justin Timberlake) i duecentosettantacinque, Single ladies (Beyoncé) i seicentocinquantaquattro, Alejandro (Lady Gaga) i trecentotrentotto: e sono solo i primi e più immediati esempi che sovvengono alla mente. Schedando circa quattromila videoclip di oltre sessanta paesi dal duemilaotto a oggi per aggiornare la prima edizione di questo saggio, che risale a diciassette anni fa, quando in effetti di volumi sull’argomento non ve ne erano quasi, e qualora se ne fossero trovati non si sarebbe potuto fare a meno di constatare il loro risalire agli anni Ottanta del ventesimo secolo, ossia di fatto agli albori del fenomeno, Bruno Di Marino, con perizia e metodo, ne fa un’amplissima e altrettanto comprensibile esegesi sotto ogni punto di vista (si notino le splendide e numerosissime illustrazioni, la vasta bibliografia, il corposo apparato di note, le oltre cinquanta pagine tra indice dei nomi e indice dei titoli), interessante e istruttiva. Da non perdere.