di Gabriele Ottaviani
Chloé ha venticinque anni, è una ex modella, è bellissima e magrissima, vive a Parigi col suo gatto, ha un pessimo rapporto con la madre ed è tormentata da continui sogni e da dolori al ventre, somatizzazione dei suoi tormenti interiori. Si rivolge a uno psichiatra. Dal fascino magnetico. Che si innamora riamato di lei. Iniziano a convivere, ma qualcosa non torna. E il problema è che purtroppo qualcosa non torna anche nel film di François Ozon, cineasta di indubbio spessore ma dagli esiti altalenanti, che qui, non alla sua miglior prova, in Doppio amore (L’amant double, passato da Cannes) adatta, sviscerando come in un paradosso escheriano il tema del gemello e dello specchio, in maniera non particolarmente riuscita – troppo cervellotica e ridondante, con un’estetica elegantissima ma esageratamente altera e laccata, indugiando notevolmente sul nudo, giungendo persino sventuratamente a de-erotizzarlo perché troppo esposto e rendendo alcune sequenze e certi dialoghi finanche involontariamente comici – una delle più grandi maestre della narrativa mondiale, quella Joyce Carol Oates che senza dubbio meriterebbe il Nobel e che purtroppo in quest’occasione, partendo da Lives of the twins, subisce un trattamento non dissimile dal travisamento che hanno fatto Almodóvar della Munro all’epoca di Julieta e Sheridan di Barry per Il segreto. Insomma, nonostante l’allure di Marine Vacth e Jérémie Renier e la gran classe di Jacqueline Bisset, purtroppo una piccola delusione. Al cinema dal diciannove di aprile.