di Gabriele Ottaviani
Uno dei principi fondamentali della chirurgia – come della fotografia – è la nitidezza. Le seghe, a meno che non vengano usate con estrema rapidità e in una sola direzione, non in entrambi i sensi, producono strappi, bordi irregolari delle estremità ossee che complicano la sutura delle labbra del moncherino e, soprattutto, come ho sempre detto, producono ciò che è considerato il peggior nemico di un buon chirurgo: sbavature cartilaginee e segatura ossea. È importante tener presente una cosa: con un coltello sufficientemente affilato si può tagliare in due perfino un altro coltello. La lama del coltello fa la grandezza del chirurgo. Date a Vesalio o al mio maestro, il grande Larrey, una lama senza filo e vi renderete conto che le loro abilità non servono a nulla…
Farabeuf o la cronaca di un istante, Salvador Elizondo, LiberAria, traduzione di Giulia Zavagna, introduzione di Alessandro Raveggi. Scrittore, traduttore, innovatore, cosmopolita, originale, avanguardista, messicano, influenzato da Joyce e da Pound (e si vede, e non solo da loro), viaggiatore, docente, figlio di un diplomatico e produttore cinematografico, critico, vincitore del Premio Xavier Villaurrutia, nato a Città del Messico nel millenovecentotrentadue e ivi morto nel duemilasei, con questo romanzo che ha letteralmente fatto epoca e che viene nuovamente pubblicato, racconta la storia, seducente e destabilizzante come un paradosso di Escher, di un chirurgo francese, inventore, fotografo, spia e morbosamente ossessionato dal sesso. Un’allegoria perfetta del male di vivere, del mondo e della passione, un’occasione da non lasciarsi sfuggire, un gioiello preziosissimo che lascia appagati e senza parole.