di Gabriele Ottaviani
La madre di Genny sta imbastendo i pantaloni che ha portato Mirella. Sul fuoco stanno le zucchine a cuocere. Che stasera, per il figlio, ci vuole preparare pasta e cucuzzielli. Oggi va un poco meglio. Manco ha tenuto bisogno dell’ossigeno. A un certo punto, nel mentre che lavora, bussano al citofono. E sarà Genny. La chiave la tiene, non c’è bisogno che mi alzo. Però bussano ancora. E si sarà scordato la chiave. Posa il pantalone e va a rispondere. «Chi è?». «Buonasera» dice una voce aggarbata di donna. «Cercavo Genny». «Non è tornato ancora. Voi chi siete?». Niente. Nessuno risponde.
L’altra madre, Andrej Longo, Adelphi. Via Toledo è una nota strada di Napoli. Lì vicino c’è un bar. Ci lavora Genny. Che ha sedici anni. Gira spesso in motorino. Vuole farsi notare. Gli piacciono le ragazze. Tania ha quindici anni. Va a scuola. Le piace il rosa. Le stelle. I bastoncini di pesce. La madre di Genny è giovane. Ma sembra vecchia, erosa dalla vita come uno scoglio dal mare. Ha il volto segnato. Fa le carte. I tarocchi. Gli orli ai pantaloni. Un lavoro duro, faticoso. Per pochi, pochissimi soldi. E certe volte le manca il fiato, e allora si attacca all’ossigeno. Fa quel che può, quel che non può, non fa. La madre di Tania fa la poliziotta. È stata ferita. Non ha il grilletto difficile. Un giorno, al Vomero, Genny e Tania si incontrano. Ma non finisce bene. E… Potente come un tuono, sensazionale, tragico, solenne, travolgente, emozionante, vibrante, credibile, doloroso, scabro, amaro, necessario.