Libri

“Mary Shelley e la maledizione del lago”

download.jpgdi Gabriele Ottaviani

Che la morte sia stata resa “romantica” dal Romanticismo è un fatto riconosciuto. Le diverse sfumature che il genere letterario ha assunto per nazione l’hanno poi accesa di fascino più o meno sinistro, macabro, onirico, salvifico. La poesia di Shelley, bollata dalla critica come una delle più romantiche dell’Ottocento, in realtà di romantico subiva forse, e appena, l’influenza dell’epoca. L’obiettivo sostanziale che il poeta di Field Place si pose con i suoi versi poggiava saldamente le basi in quell’Illuminismo e Positivismo francese che mettevano l’uomo e la scienza al centro del progetto universale, decretando il progresso un obiettivo irrinunciabile. Poi, certo, il ragazzo, ipersensibile al richiamo del macabro, dell’occulto e dell’oltre, tese ad arricchirla di un’aura di mistero, la contaminò con il concetto di anima e spirito (che il Positivismo e l’Illuminismo rifiutavano), la bagnò di quell’humus sensuale (a volte erotico) e passionale che solo un esteta melodrammatico avrebbe saputo tirar fuori. Soprattutto, la poesia di Shelley, come quella dei grandi poeti, non poté essere scissa dalla sua vita e, di conseguenza, dalla sua morte. Una morte che l’aveva accompagnato come una sposa fedele fino a Pisa. Che anche Mary aveva dovuto riconoscere come sua compagna, tollerato, subito, inutilmente allontanato.

Mary Shelley e la maledizione del lago, Adriano Angelini Sut, Giulio Perrone editore. Vissuta, per lo più tra una disgrazia e una sventura (la morte della madre, strenua promotrice dei diritti delle donne, moglie di uno scrittore e saggista politico vicino alle teorie anarchiche e vera e propria antesignana del femminismo, avvenuta pochissimi giorni dopo averla messa al mondo, la vedovanza precocissima e altri lutti), a cavallo fra diciottesimo e diciannovesimo secolo, saggista, biografa, scrittrice, Mary Shelley sembra essere, al giorno d’oggi, poco conosciuta e ricordata, se non per quella sua creazione di genio che è tuttora un paradigma, una pietra di paragone, un modello di riferimento e, in questi tempi in cui ogni cosa appare sempre più mercificata, un’allegoria tragicamente attuale della proterva fragilità della condizione umana, ossia Frankenstein. Ma questa scrittrice prematuramente strappata alla vita da un male che non le ha lasciato scampo è molto di più, e il ritratto che ne fa, con una prosa che valica d’un balzo i confini del genere e che si fa letteraria tout court, solidamente romanzesca e appassionante, Adriano Angelini Sut è caratterizzato fin nel dettaglio, completo, profondo, istruttivo. Da leggere.

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