di Gabriele Ottaviani
Era il millenovecentoottanta: David Quammen, scrittore e scienziato, vincitore fra l’altro dello Stephen Jay Gould Prize, celebre autore più volte pubblicato in Italia da Adelphi, capace di veicolare in forma narrativa più che apprezzabile e coinvolgente finanche contenuti dottissimi, che sa rendere semplici e chiari, aveva trentadue anni, e dava alle stampe Walking out. Che ora diventa un bel film, epico, intenso, sensibile, profondo e avvincente, classico e sempiterno, pieno di suggestioni che rimandano a Jack London, The revenant e finanche all’Anchise virgiliano portato sulle spalle dal pio Enea, passato dal Sundance e qui a Giffoni, di Alex e Andrew Smith (sceneggiatori per HBO, Warner Bros, Disney, Sony e FX, autori della pellicola di quindici anni fa The slaughter rule, con Ryan Gosling e Amy Adams), con la fotografia strepitosa di Todd McMullen (Santa Clarita Diet, The Leftovers, Quantico, Amy wives, Il miglio verde, Casinò) e due interpreti maiuscoli come Josh Wiggins (visto qui al GFF anche nel graziosissimo The bachelors) e Matt Bomer (The last tycoon, I magnifici sette, American horror story, Magic Mike XXL, White collar, The normal heart, Glee). Che sono figlio e padre. Vivono lontani. Il ragazzo raggiunge dal Texas dove risiede con la madre il genitore, che di fatto non conosce, per la consueta battuta di caccia – analizzata qui come una vera filosofia di vita, non come un mero sfogo di istinti assassini – nel gelido e sublime Montana. Naturalmente non si tratterà affatto di una scampagnata, ma di un cammino verso la consapevolezza della propria identità. Da non perdere.
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