di Gabriele Ottaviani
Ma ora è finita. Si torna a casa. O per lo meno ci torna Camilla. Pippo resterà a Pechino perché troppe sono le questioni ancora da risolvere. Oltre i disordini inevitabili che seguono l’arrivo delle truppe, l’arraffa-arraffa, i saccheggi, le violenze, ci fu, da parte degli europei, la pretesa di entrare nella Città proibita – pretesa arginata dai superiori, almeno in quei primi giorni Troppa sarebbe stata l’umiliazione per i cinesi, e le persone di buon senso non volevano questo. Lasciarono fare in seguito, e non parve vero agli europei di aggirarsi per quelle sale, ammirarne lo splendore, e soprattutto riempirsi le tasche degli oggetti preziosi che poi si sarebbero portati a casa come trofei di guerra. Una brutta pagina per gli europei. Intanto, nel giro di poco, sarebbero incominciate le trattative tra il Corpo Diplomatico e alcuni membri della Corte, e infine la firma del trattato di pace. La spartizione del territorio sarebbe stata tutta a vantaggio dei tedeschi, che già allora dimostrarono il cinismo e il disprezzo per le vite umane che preannunciava quello che sarebbero diventati sotto il nazismo e con lo sterminio degli ebrei. Dico questo perché le macabre fotografie delle esecuzioni capitali dei cinesi, Boxer e non, e delle quali furono spettatori compiaciuti, ce ne da un assaggio. In questa spartizione, come ho detto, fu la Germania a fare la parte del leone: le altre potenze ebbero più o meno quello che chiedevano, meno l’Italia, sempre l’ultima ruota del carro, alla quale toccò – grazie al nonno – un piccolo settlement (insediamento) a Tientsin. Dopo di che il nonno poté considerare chiusa la sua missione a Pechino, e nel settembre del 1901 partì per l’Italia con l’amico Mario Valli.
La nonna era bellissima, Camilla Salvago Raggi, Il canneto. Difficile trovare un titolo più azzeccato. Più giusto. Più efficace. Più vero. La nonna era bellissima. Sul serio. Quale nonna? Quella di Camilla Salvago Raggi, instancabile tessitrice di memorie della sua famiglia che riesce a rinvenire scartabellando con infinita pazienza il suo archivio (che parla anche per assenza, come in questo caso, dove tutto ha origine da un quadro rubato), ricordi in cui si riverbera la Storia e che contribuiscono alla condivisione di un racconto che è un esempio di comunicazione, di dialogo nel senso più nobile del termine, che consente al lettore di viaggiare semplicemente nel tempo e con la fantasia, entrare in contatto con mondi altri, avere l’impressione di camminare, tale è la vivacità delle immagini, per stanze di case che non conosce eppure gli appaiono familiari da subito, sin dal primo momento. La nonna era bellissima. La nonna si chiamava Camilla. La nonna ha vissuto in una temperie agitata da tensioni fortissime, sotto ogni punto di vista, la nonna era la moglie di un uomo ambizioso e vitalissimo, Giuseppe Salvago, nato nel milleottocentosessantasei, due mesi prima della sciagurata battaglia di Lissa citata finanche nei Malavoglia, e morto ottant’anni dopo, senza riuscire però a vedere l’Italia divenire repubblica, lui, laureato in scienze sociali, diplomatico, scrittore, vissuto a Madrid, San Pietroburgo, Berlino, Il Cairo, Istanbul, in Cina durante la rivolta dei Boxer contro l’influenza straniera colonialista, commissario generale della Somalia italiana, governatore dell’Eritrea, senatore del regno nella ventiquattresima legislatura, delegato alla conferenza di Pace di Parigi del millenovecentoventinove, capo della delegazione italiana alla commissione delle riparazioni di quattro anni dopo, cavaliere di gran croce e grand’ufficiale dell’ordine coloniale della Stella d’Italia. La nonna ha patito la solitudine. Ma questo non l’ha resa una figura remissiva o poco interessante. Anzi, tutt’altro. Da leggere.
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