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“Il Re Sole”

51EE26ul1+L._SX349_BO1,204,203,200_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Nel 1688, Luigi XIV aveva cinquant’anni. Era stato sul trono per quarantacinque anni, e per ventisette aveva governato di persona. Di età avanzata, secondo i parametri del xvii secolo, nessuno avrebbe potuto prevedere che il suo regno sarebbe durato per più di un altro quarto di secolo. Il re non era in buona forma fisica, essendosi sottoposto a due operazioni verso la fine degli anni ottanta, la prima delle quali lo aveva portato alla perdita di gran parte dei denti, mentre la seconda, più seria, aveva riguardato la cura di una fistola, che nei circoli ufficiali venne chiamata eufemismisticamente «indisposizione» (Mademoiselle de Scudéry compose un madrigale sull’Indisposizione di Sua Maestà) o «disturbo» (incommodité). In conseguenza della malattia, Luigi si fece più sedentario. In effetti, dopo aver portato la corte al proprio seguito all’assedio di Namur del 1692, rinunciò del tutto a prendere parte a campagne militari. La gotta lo rese inoltre sempre più impedito nei movimenti. Negli ultimi anni lo si sarebbe visto, qualche volta, sulla sedia a rotelle (la sua roulette) nel palazzo e nei giardini di Versailles. Era sempre preoccupato della propria immagine (tanto che un giorno, nel 1704, prese freddo perché trascorse troppo tempo a decidere quale delle numerose parrucche indossare), ma stava cominciando a sottrarsi agli occhi del pubblico.

Peter Burke, Il Re Sole, traduzione di Lucio Angelini, Il saggiatore. È lui lo stato. E non solo. Lui è tutto. È il simbolo dell’antico regime. È l’astro più splendente di tutta la galassia. È il monarca assoluto per antonomasia. È genio e sregolatezza, ossessione e possessione, potere e protervia. Ha fatto la storia. Ha dato il suo nome a un’epoca, e non solo. Ha inventato lo stato moderno per come lo conosciamo, di fatto. Ha soffocato gli ultimi gemiti del feudalesimo, ogni suo gesto era per miracol mostrare. Ma fu vera gloria? Fu tutto vero? Adulazione, megalomania, propaganda? A cosa si deve la sua straordinaria forza iconica? È forse solo l’ennesima declinazione dell’uomo forte cui ci si affida quando le cose vanno male, affinché tutto si risolva senza sforzo, magicamente, come in un’età dell’oro in cui la natura dà frutto senza che si debba faticare per lavorare la terra? O c’è qualcosa di più. Il ritratto di Burke, corredato da immagini superlative, e che si fa anche nello stesso momento, fra le righe e in diversi passaggi in maniera del tutto esplicita, saggio critico sull’arte, la politica, il popolo, il potere e la comunicazione – temi, com’è evidente, di stringente attualità e del tutto contemporanei –, è assolutamente imperdibile.

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