di Gabriele Ottaviani
Al momento giusto è il suo bel romanzo: il giovanissimo Aldostefano Marino risponde ora alle nostre domande. Per noi di Convenzionali è un vero e grande piacere conversare con lui.
Da dove nasce Al momento giusto?
Al momento giusto è nato davvero al momento giusto: un pomeriggio che fuori pioveva e mi è venuta una voglia incredibile di scrivere. Avevo scritto tantissime cose prima di quel momento, ma mai nessuna mi aveva convinto per davvero. In sette giorni la prima stesura di Al momento giusto è stata completata: non so come sia successo, le parole sono venute fuori una appresso all’altra e alla fine ce l’avevo fatta per davvero. È stato il mio primo qualcosa che, a rileggersi, non mi ha fatto così schifo, un po’ meno del solito, ecco!
Che cosa significa l’amore per te?
Non ho mai saputo spiegare che cosa sia per me l’amore e forse non credo sarò mai in grado di farlo. Sono però profondamente convinto che esistono tanti tipi e tante forme di amore che non conosciamo, che non abbiamo sperimentato, e tanti altri, invece, con cui abbiamo a che fare ogni giorno. C’è l’amore di mia madre per mio padre: un amore tormentato, litigioso, ma che resiste, che ogni giorno si rimbocca le maniche per andare avanti e ce la fa(!). C’è l’amore di mia sorella, per me, quando mi scrive perché sospetta che mi sia cacciato in qualche guaio. Poi c’è l’amore di mia madre per me, e quello di mio padre, quello di mia nonna o delle mie zie che mi trovano sempre il più bello di tutti, forse perché loro non hanno mai avuto un figlio. C’è anche quello della mia amica per un’altra sua amica, e quello di un suo amico trans per gli altri uomini, quello di una prostituta e poi tanti altri ancora. Credo soprattutto in un Amore incondizionato, che è quello che non dovrebbe mai mancare, il nostro vero amore, quello per noi stessi: non siamo forse noi le persone con cui trascorreremo il resto della nostra vita?
Con che spirito si affronta l’abbandono della propria città per andare a studiare altrove?
Ho abbandonato la mia città due volte: la prima in quarta superiore per andare a trascorrere quattro mesi in America, la seconda tre anni fa per venire a studiare a Roma. La prima volta è stata più dura della seconda, nonostante fosse un’andata con un ritorno programmato. Quando sono venuto qui a Roma non è stato facile abbandonare i miei amici, i miei posti, i soliti bar e i soliti punti di riferimento. Ma non è stato nemmeno difficile, perché la Sardegna mi stava stretta. Ora la amo e, ultimamente, non vedo l’ora di tornarci. (Ma non dirlo troppo in giro!)
Quanto si è veramente liberi di vivere la propria vita?
Si è veramente liberi di vivere la propria vita quando si è felici, e felici lo si può essere solo quando tutto quello che facciamo, che diciamo, che pensiamo è esattamente quello che vorremmo fare, dire o pensare. Quindi per me basta cercare di essere felici ad ogni costo. Cercare per riuscirci, si intende, eh! Quindi siamo veramente liberi quando siamo veramente felici, o in altre parole: siamo liberi quando siamo chi vogliamo essere, quando non ci piace la carne e siamo vegetariani, quando sono un uomo e mi piacciono gli altri uomini e siamo gay. Siamo veramente liberi e veramente felici quando non tentiamo di essere qualcosa che non siamo, ma ci accontentiamo e valorizziamo ciò che, invece, siamo per davvero nella nostra cameretta.
Che influenza ha la paura di deludere le persone che si amano in merito ai comportamenti che si decide di attuare nella vita di tutti i giorni?
Deludere le persone che amo è una mia costante preoccupazione. Francesco, il protagonista del mio libro, ad un certo punto si innamora di un ragazzo che è proprio quello che piace al suo migliore amico. Ma quanto la paura di deludere gli altri deve essere più forte di quella di tradire noi stessi?
Quali e quanti luoghi comuni in merito all’omosessualità e ai diritti civili secondo te devono essere ancora sfatati?
Sfatiamo il luogo comune che esistano discoteche gay in cui si va per copulare e discoteche eterosessuali in cui, invece, si va solo a ballare. Le discoteche sono sempre state così, a prescindere dal target: quando andavo a ballare in prima serata a Cagliari, quelle discoteche con sedicenni e diciassettenni erano dei bordelli.
Sfatiamo il luogo comune che famiglia significhi Mamma, Papà e Sorellina, perché io dico sempre che avrei preferito nascere figlio di due genitori omosessuali che non nascere, o che crescere in un orfanotrofio: famiglia è tutto ciò che è in grado di farti sentire felice e completo, anche quando non lo sei.
Sfatiamo il mito che tutti i gay nel mondo si piacciono, che quel vostro amico gay possa essere presentato a tutti quegli altri gay che incontrerete.
Infine sfatiamo il mito per cui avere un amico gay significhi non essere omofobo: il vostro amico non sarà contento di sentirvelo dire.
In merito a queste tematiche quanto è indietro l’Italia rispetto al resto d’Europa e del mondo?
Ho letto un libro tempo fa, si chiamava “Global Gay” di Martel, un francese saggista che avevo trovato in libreria sugli scaffali: raccontava perfettamente tutta l’evoluzione del mondo omosessuale, la sua repressione, le sue sofferenze. In Italia siamo indietro, ma non così indietro: c’è ancora tanto, tantissimo da fare indubbiamente. Rispetto al resto dell’Europa eccome se lo siamo, figuriamoci se prendiamo in considerazione tutto quanto il mondo. Io credo, però, che un paese lo facciano soprattutto le persone che ci vivono, e in questo senso l’omosessualità è sempre più “accettata”. Se poi mia nonna, che ha molti anni in più di me e che è cresciuta in un contesto parecchio – passami il termine – bigotto, pensa che non ci sia nulla di strano nel suo nipote gay, allora non siamo così indietro. Ma non credo nemmeno che questo basti. È proprio per quelle persone che ancora non si convincono, che ancora pretendono di dover comprendere l’amore che un’altra persona prova per qualcun altro, di avere poi diritto di esprimersi in merito, che è necessario fare delle leggi, rendere gli omosessuali uguali anche dal punto di vista legale e giuridico: siamo pronti!
Il tema della morte ha un indubbio peso nel tuo romanzo: perché?
La morte è l’unica cosa certa nella vita di una persona: certo, anche la nascita, ma non quanto la morte. Si può non nascere, rifiutarsi di venire al mondo all’ultimo secondo, o con qualche mese in anticipo; però non si può non morire, non ti capita che qualche mese prima del giorno in cui morirai tu non muoia. La morte non è negativa, o comunque non è solo negativa: è un aspetto della vita, un bivio sicuramente, ma è necessaria. La mia amica Jacqueline L. dice sempre che sono un bambino, lo dice perché affronto tutto con un’estrema leggerezza, perché tutto diventa motivo di esperienza. La morte della sorella di Francesco ha fatto imparare una grande grandissima lezione al protagonista di Al momento giusto, e cioè che non possiamo avere il controllo di tutto, ma possiamo rendere perfetto quello di cui abbiamo il controllo, ed allontanare la morte: che non deve far paura, proprio perché è l’unica cosa di cui possiamo esser certi.
Qual è l’aspetto più importante da sottolineare quando si vuole raccontare una storia?
Io credo che ogni autore abbia un modo di scrivere proprio, delle proprie idee, una propria traccia, che a sua volta proviene da altri modi di scrivere che lo hanno affascinato e che ha fatto propri, e così via. Quindi ciò che andrebbe sottolineato è proprio il proprio stile, i modi in cui decidiamo di raccontare una storia al posto di altri.
Tre libri e tre film che hanno un valore speciale per te, e perché.
I libri e i film per me sono un po’ come le persone, perché li coccolo, li custodisco gelosamente: per i libri segno il giorno in cui li inizio e il giorno in cui li finisco, cosicché un giorno colleghi quel libro ad un determinato periodo della mia vita.
Non ho dei libri preferiti assoluti, e nemmeno dei film, ma posso dire quelli che mi sono venuti in mente per primi quando ho letto questa domanda.
Arrivano i pagliacci di Chiara Gamberale è un libro che per me è stato davvero un punto di partenza dopo un arresto dannoso: mi ha insegnato che le cose brutte sono ostacoli, non vita. E dopo gli ostacoli il percorso riprende regolare, e uguale a prima.
Anna Karenina è uno dei primi classici che ho letto con più attenzione: da questo ho imparato l’importanza della vita quotidiana, e quindi della noia, dell’abitudine, della monotonia. Per Tolstoj qualsiasi cosa diventa raccontabile, ogni singolo dettaglio, e attribuisce al quotidiano un ruolo fondamentale, da cui possiamo distrarci attraverso momenti di esaltazione, che condiscono la vita ma non la costituiscono interamente.
Invisible Monsters è uno dei libri che mi ha più divertito e stupito allo stesso tempo: mi ha insegnato soprattutto che nella vita possiamo davvero essere chi vogliamo essere: penso volesse suggerirmi questo Chuck Palahniuk in quel momento.
Io e Marley è stato uno dei pochi film ad avermi commosso, tantissimo. Questo film mi ha regalato un’innata voglia di prendermi un cane: dovrebbe essercene uno nella vita di ognuno di noi perché sono in grado di amarci incondizionatamente.
La vita è bella credo non meriti alcuna spiegazione in merito.
A Beautiful Mind è il film su cui ho deciso di scrivere la tesi; intenso, intrigante e non voglio dire altro: guardatelo!