Gianni Piu presenta il più limpido dei ‘cursus honorum’ intellettuali: il diploma di maturità nell’esclusivo liceo-ginnasio Domenico Alberto Azuni di Sassari [allievi illustri: Sebastiano Satta (1867–1914), poeta e scrittore, Attilio Deffenu (1890–1918), intellettuale e giornalista, Antonio Segni (1891–1972), presidente della Repubblica, Mario Berlinguer (1891–1969), politico e avvocato, Camillo Bellieni (1893–1975), politico e storico, Palmiro Togliatti (1893–1964), segretario del Partito Comunista Italiano, Stefano Siglienti (1898–1971), politico e banchiere, Giacomo Delitala (1902–1972), giurista, Salvatore Satta (1902–1975), giurista e scrittore, Enrico Berlinguer (1922–1984), segretario del Partito Comunista Italiano], laurea in filosofia a Cagliari, insegnamento per un buon quarantennio nelle scuole secondarie del suo paese, Pozzomaggiore, di cui, per un decennio, è stato anche sindaco e amministratore comunale.
L’insegnamento dunque è stato il ‘mestiere’ in cui Gianni è vissuto ma della della sua profonda vocazione pedagogica hanno beneficiato, e beneficiano ancora, tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incrociare i suoi passi.
Una estesa e profonda cultura, la paziente capacità di ascoltare le ragioni degli altri, la duttilità antropologica nel rapporto con il prossimo, il rigore di idee chiare e messianiche a lungo coltivate e non ancora dismesse (la sete di giustizia, il sostegno agli ultimi, la lotta illuministica contro le ‘prigioni dell’oscurantismo e del pregiudizio’, il sardismo filtrato attraverso l’esperienza gramsciana), la paziente tessitura dell’amministratore mai immemore del mandato popolare: queste sono le qualità fondamentale di Gianni che ricorrono piacevolmente ad ogni incontro e si ritrovano in ogni suo verso.
Il corollario di questa poliedrica tempra umana è la piena sintonia con la ‘Madreterra sarda’ e i suoi abitanti nonché la condivisione con essi di sogni realizzati e di cocenti sconfitte.
Sicché le esperienze comunitarie (vita e morte, lavoro e tempo libero, lotte e ripiegamenti, malattie e sofferenze) sono le occasioni in cui, da sempre, l’ispirazione di Gianni si attiva e fa tracimare versi tornitissimi e a lungo rimuginati.
Una poesia umana, troppo umana, ci vien da dire ripensando al profeta di Röcken; anch’essa, come la filosofia nietzschiana, satura della tradizione canonica che si incontra nei manuali di letteratura, italiana e occidentale, con l’aggiunta del background poetico isolano (in lingua sarda e in lingua nazionale) che Gianni ha profondamente metabolizzato anche attraverso la dimestichezza con le voci primordiali del canto popolare a tenores e degli agoni in ottava rima.
Versi dunque che, pur legati alla tradizione poetica, ne distaccano e vanno oltre; non vi si trova la poesia d’amore, capitolo rilevante di ogni antologia che si rispetti, non il legame ancestrale con la natura (le piante, il paesaggio, gli animali con le conseguenti, e spesso abusate, metafore); l’uso della rima è non convenzionale e risulta a volte parsimonioso, a volte insistito, a volte carsico e da decifrare; ma, oltre la rima e le assonanze, c’è una musicalità ricercata che percorre e governa ogni verso.
Questa sonorità pervasiva era stata sottolineata da Ricardo Herrera che, antologizzando Gianni insieme ad altri due autori italiani del calibro di … aveva parlato di “escritura de Piu toda penetrada de una ininterrumpida conmociòn ritmica (prueba fehaciente del caracter genuino del dictado poetico)” (“Hablar de poesia”, Anno III, n. 5, Junio 2001)
Le assenze e le anomalie di cui sopra sono forse dovute ad una sorta di ritrosia verso ogni forma di soggettivismo; o, detto altrimenti, a una deviazione, intenzionale o profonda che si voglia, della pulsione narcisistica verso ‘l’altro da sé’, verso il ‘noi’, cui la generazione di Gianni è stata variamente educata dalla più rilevante e denigrata ideologia della cultura novecentesca: quella umanistico-comunitaria, o più precisamente comunista, che ha fatto da basso continuo a diverse stagioni della vita, sua e di tanti altri compagni di viaggio.
Esiti a stampa
Psicologia della deriva. Poesie 1970-1994 (Tivoli, 1995, tradotto nel 2003 per le edizioni Melusina di Mar del Plata) ed Epigrammelot in punta di cronaca (Cagliari, 2006) sono gli antecedenti a stampa di Mente glocale e ne possono essere considerati studi preparatori.
I temi per lo più ‘privati’ del 1995 (poesie per pensionamenti, nascite, epitalami) sopravvivono nella prima sezione di questo volume, Dediche, allargandosi in ampi quadri rammemorativi in cui il poeta riassume le sue ‘esperienze dell’altro’, spesso diramate attraverso familiarità antiche e consolidate per più generazioni; con l’aggiunta, questa veramente inusuale, della recensione libraria in versi.
E il verso assume a volte le forme dell’epicedio accorato come in Pietro Maestro, in Ninna nanna e in Piante officinali, veri e propri canti di Orfeo che paiono evocare dagli inferi, sia pure per il solo tempo della lettura, i viatores scomparsi e fungono da ambrosia e unguento per le ferite insanate dei sopravvissuti.
Moana Popper è anch’esso epicedio cumulativo dedicato alla regina del porno Moana Pozzi e al filosofo falsificazionista Karl Raimund Popper: vite asimmetriche accomunati da cognomi assonanti e dalla morte, ossimorica e quasi contestuale, poco più che trentenne la prima ultranovantenne il secondo, nel settembre del 1994: sicché il “Timore del caos, la polifonia/ … / il dogma o il mito come / cammino artificiale per penetrare / l’ignota esplorazione del mondo / alla ricerca delle regolarità” del primo fanno da controcanto alla “filosofica antica utopia / delle case dell’amore / la democrazia dei rapporti / pansessuali e civili piaceri / del rispettarsi sano” dell’altra: la tabula rasa è piena / la tabula piena è rasa.
La vocazione epigrammatica torna in questo libro nelle venti pagine dell’Insalata di riso sardonico, in cui la cronaca micro-criminale si mescola a quella macro-politica in grumi di versi ricolmi di ironia dolorosa, da centellinare a mente serena e disposta all’impegno.
Haiku Lunghi
I versi di Gianni risultano tanto pregni della tradizione poetica che, ad un certo punto sembrano, traboccarne: legami evidenti con Franco Fortini, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini, Attilio Bertolucci, Vittorio Sereni, Giorgio Caproni, Giovanni Giudici nonché, dal lato della letteratura europea, Bertold Brecht e Wislawa Szymborska.
I nomi indicano gli ‘ascendenti’ più rilevanti di una poesia molto sedimentata, ma le conoscenze di Gianni sono veramente enciclopediche; sicché può capitare che in un conversare pomeridiano (e quanti se ne fanno e di che qualità nell’ampia casa avita di via Grande a Pozzomaggiore, spesso dopo convivi multiformi in cui Gianni è instancabile factotum di robusti menù, complicanze di cibi e complicanze di verbi!) qualche commensale menzioni un poeta locale di una qualsiasi regione italiana; ed ecco che il signore del luogo va nella stanza della sua poderosa biblioteca e cava fuori cinque o sei volumi contenenti i versi dell’ignoto de cuius.
Questo cibarsi dei versi altrui, selettivo e universale ad un tempo, traspare nella sezione di questo volume intitolata Specie di Haiku Lunghi.
Gli ‘haiku’ di Gianni, sei in tutto, esclusa già nel titolo la ‘brevitas’ canonica, rappresentano ognuno l’approccio simbiotico ad un altro poeta (l’altra ‘autocoscienza fenomenologica’, verrebbe da dire parafrasando Hegel!), una sorta di ribaltamento critico, una ‘rivoluzione copernicana’ ermeneutica in cui il testo di un’opera altrui viene ‘smontato’ e ‘rimontato’ in una sintesi costituita dai materiali, i versi, dello stesso autore diversamente assemblati.
Il tetto s’è bruciato / ora / posso vedere la luna!, verrebbe da dire con Mizuta Masahide (1657-1723), dove ‘luna’ sono i versi degli altri, meditati e metabolizzati negli haiku lunghi di Gianni. E ‘gli altri’ sono, in questo caso e tanto per continuare con genealogie e fratellanze, tre poeti isolani stravaganti rispetto al canone (Antonello Zanda, Lina Unali e Marcello Fois) e due ‘continentali’ ‘canonici e laureati’ come Sandro Penna e Andrea Zanzotto che vi compare con Sovrimpressioni (Mondadori, 2001) e Conglomerati (Mondadori 2009).
Locale e Globale
Le ultime due parti di questo libro, Piuttosto locale e Piuttosto globale, sono solo nominalmente antitetiche: in realtà in entrambe c’è un tentativo di ridurre in versi il Kaos del mondo il cui il locale, l’isola, la Sardegna, si è ritrovata il mondo nelle sue strade (non solo gli odierni cinesi e rumeni ma, molto tempo prima, la flotta americana a La Maddalena e “… 35.000 ettari sono servitù militari / Frasca Teulada Chirra installazioni /poligoni acquartieramenti stazioni …”) e il mondo (l’Argentina soprattutto), cui il poeta guarda con animo di viaggiatore profondo non da turista, si scopre affetto e rigonfio di particolari (italiani metà dei cognomi bairensi).
Nell’impossibilità di rendere conto di ognuno dei componimenti scegliamo di soffermarci sui due, Paese mondo cane? e Magro, El Querandi, Cano, che rappresentano veri e propri Cantos generales in cui prevale l’epicità della vita quotidiana, la lotta contro la non trattenuta entropia che annichilisce nel tempo le persone e il loro comune sentire, le lingue e le case ( … pietre geologicamente / rastremate e inventariate nelle case / antiche a presidiare i passi / o imbellettate da tecniche aggiornate …), gli ecosistemi e i paesaggi; entropia contro la quale, purtroppo, anche il verso del poeta risulta solo medicina palliativa.
Quasi duemila versi, allineati a sinistra e articolati a destra negli ondeggianti frattali del verso libero, interpunzione ridotta al solo ‘punto fermo’ per fare riprendere ossigeno al lettore, l’intermittenza della lingua sarda in Paese mondo cane? e di quella argentina in Magro, El Querandi, Cano, citazioni essenziali ed esplicite incastonate nel testo (De Martino e Pavese) ed altre solamente accennate o criptate, l’allitterazione parsimoniosa per descrivere il disordine belluino globale (BruxellesBataclanCiadTurchiaPakistan, quasi una raffica di mitragliatrice glottologica), la fraternità della lingua castigliana ( … voces superpuestas, incomprensibiles retumbantes / Da ese momento una parte / del todo una parte del arte / una entre muchas cabezas / una entre muchas munecas), il disagio antropologico [ … paisà di paesi (Paesi) spaesati …], l’assemblaggio di ascendenti per un artista ( -Eluard Segovia, Edith Piaf Tenco Neruda), lo scherno di incivili steccati civilistici ( … la proprietà privata provata / dalle accuratissime staccionate/) o, ancora e chiudiamo (ma il lettore saprà scoprire molti degli altri tesori stilistici nascosti tra i versi), l’abbondanza di morfemi dentali per esprimere … la ricchezza dell’offerta gastronomica nella città di Cordoba :
Città retroversa, artigianale familiare
Europa dell’est anni sessanta
attenta ad impettite cerimonie del patriota
Josè San Martin rigurgitanti ristoranti
mentre spande profumo accattivante
il capretto immolato negli spiedi confitti.
Migranti, immigrati, emigranti // Volkswanderungen, invasioni, solitudines //, Öffnungen, mediterraneità, maltitudini: il Chaos globale che Gianni, raffinato Creso di versi e platonicamente refrattario ad ogni oro, ha trasformato in poesia.