di Gabriele Ottaviani
“È sorprendente come un dialetto calcinato d’ironia e di scetticismo (non sguaiato e plebeo come il Belli stesso lo riteneva) d’improvviso si apra alla vena spumeggiante e iridata della poesia di Mario dell’Arco”. Mario dell’Arco, la persona interessata, poté leggere questa frase sulla terza pagina del quotidiano “Sicilia del Popolo”: era il primo dicembre 1949, un giovedì, e la sorpresa dello scrivente trovò il suo reciproco. Dell’Arco ignorava chi fosse quel Leonardo Sciascia capace di cominciare un articolo in modo così assertivo, così sinuoso, così numeroso d’implicazioni. Soltanto il titolo (Un poeta romanesco – Mario dell’Arco) e l’impaginazione (taglio centrale, settima e ottava colonna) erano scialbi; ma questo, semmai, aumentava la sorpresa dell’incontro.
Con scritti di Belpoliti, Dell’Arco, Fontana, Pischedda, Coyaud, Recami, Cavallo, Volpini, Grosser, Giovannetti, Cassata, Mantegna, Macino, Lévy-Leblond, Moliterni, Rigola, Verri, Bonfanti, Graveri, Klein, Sebastiano Gesù, Moliterni, Lombardo, Squillacioti, Guagnini, Migliore, Di Grado, Cavaliere, Curreri, Avellini, Fiscarelli, Graci, Ricorda, Roversi, Spalanca, Scarpa, Raffaeli, Grassi, La Monica, De Iorio, Lo Giudice, Mattioli, Bruni, Donati, Gatta, e ovviamente Sciascia, di cui si aggiorna persino l’archivio dei corrispondenti (per il duemilasedici, anno sesto della rivista di studi sciasciani fondata da Francesco Izzo, si è giunti alla lettera D) e che viene messo in parallelo con Danilo Dolci, Camus, Bernanos e Simenon, arricchito anche, in chiusura, da una splendida e come da tradizione icastica ed efficace vignetta di Forattini, Olschki pubblica un volume fondamentale, giunto appunto alla sua sesta edizione: Todomodo. Per continuare ad approfondire lo studio di una delle figure intellettuali più prestigiose della storia del nostro paese, dimostrando come i grandi classici davvero non finiscano mai di dire quel che hanno da dire, ma che anzi la continua e incessante ricerca, se condotta in modo adeguato, non può che dare straordinari frutti, per il bene della collettività.