di Gabriele Ottaviani
In bici senza sella. È doloroso starci. Molto. È un po’ come la storia del cetriolo e dell’ortolano, suvvia, non nascondiamoci dietro a un dito o a un velo di pruderie. Esattamente come è doloroso ritrovarsi nell’impossibilità di poter fare un progetto che sia uno perché su di te pende la spada di Damocle di un lavoro precario, in nero, non retribuito, non riconosciuto, che ti getta in pasto a una lotta fra poveri fra chi non ha mai avuto la benché minima tutela e chi le ha avute ma le ha perdute non per sua colpa, anzi. Mentre i datori di lavoro da un lato fanno finta di essere paterni e quindi non ti assumono perché sei troppo qualificato e sprecheresti la tua occasione per essere felice nell’unica vita che ti è concessa, non considerando affatto, o forse considerando pure troppo bene, proprio il fattore vita, ovvero che le belle speranze le puoi coltivare se intanto riesci a mettere insieme il pranzo con la cena, altrimenti con gli ideali certo non mangi, e nemmeno ci paghi l’affitto, e dall’altro invece ti vessano, ti costringono a firmare dimissioni in bianco, a nascondere una eventuale gravidanza, ti fanno sentire l’ultima ruota del carro, un ingrato perché pretendi un salario (ma il lavoro quello prevede, altimenti è hobby, volontariato o, nella peggiore e più frequente delle ipotesi, schiavitù, con buona pace di Abramo Lincoln, morto invano per abolirla) e non ti basta la visibilità, irriconoscente che non sei altro che non capisci l’onore e il privilegio che hai di passare le tue giornate trattato da zerbino nella grande famiglia dell’azienda anziché stare a casa a fare la forma sul divano. Perché il mondo del lavoro in Italia è così, inutile girarci intorno: se è vero, come è vero, che c’è una marea di nullafacenti che non solo hanno la testa per tenere divise le orecchie ma soprattutto scaldano le poltrone nei loro uffici lindi e pinti o dietro le loro cattedre di ruolo vinte a Roma venendo da Canicattì con punteggi in graduatoria che fanno pensare che a trentadue anni abbiano sedici master e diciotto figli minorenni, perché altrimenti non si spiega (ma in realtà si spiega benissimo…), è altrettanto vero che c’è una marea ancor più grande di gente di ogni età, strangolata dalla crisi e continuamente superata a un millimetro dal traguardo dal raccomandato incompetente di turno, che non sa come andare avanti. E con ironia e brillantezza questa produzione indipendente come più non si potrebbe premiata con evidente merito come Best Feature Film all’edizione di quest’anno del Toronto Independent Film Award racconta la realtà: cento minuti di film, in sala dal tre di novembre, per sei episodi (Santo Graal, I precari della notte, Curriculum vitae, Crisalide, Il parassita e Il posto fisso), un’idea di Alessandro Giuggioli, regie di Giovanni Battista Origo, Sole Tonnini, Gianluca Mangiasciutti, Matteo Giancaspro, Cristian Iezzi, Chiara De Marchis e Francesco Dafano e soggetti e sceneggiature dei già citati Origo, Mangiasciutti, Tonnini, Giuggioli e Dafano insieme a Elettra Raffaela Melucci, Vittoria Brandi, Francesca Fago, Luca Scapparone, Aldo Nobile e Andrea Alatri. Se il primo episodio non mette molto a fuoco il tema dell’opera, rimane un po’ avulso e fuori contesto, anche perché non è introdotto dalla voce di Radio Precaria, che funge da fil rouge tra le varie tranche de vie ma in realtà suona sempre abbastanza posticcia e fuori luogo, e il secondo è quello in tutta onestà più debole, i successivi quattro fanno germogliare, crescere, sbocciare e brillare la pellicola vista anche nella sezione Kino Panorama di Alice nella città, segmento della festa del cinema di Roma. Intelligentissima, esilarante, benché il riso sia sovente amaro, divertente, autentica, credibile, ben diretta, ben recitata (il cast è di prim’ordine: Riccardo De Filippis, Edoardo Pesce, Alberto Di Stasio, Michele Bevilacqua, Luca Scapparone, Alessandro Giuggioli, vero e proprio deus ex machina del progetto, Flavio Domenici, Stefano Ambrogi, gli strepitosi Francesco Montanari ed Emanuela Mascherini, Alberto Gimignani e Ciro Scalera) e soprattutto ben scritta. Il parassita, in maniera particolare, è semplicemente geniale. Da non perdere.