di Gabriele Ottaviani
«Solo per quest’anno» aveva precisato chi di dovere. «Alla prossima votazione, se vorrà rientrare al seggio del suo convivente, signorina, le basterà tornare qui con un documento di riconoscimento valido e sistemeremo ogni cosa. Buona giornata.»
Meno male che con la scusa delle Olimpiadi si son decisi a far la metro anche nella capitale sabauda, nonostante perplessità e polemiche all’epoca dei lavori: in certi casi può rivelarsi molto più utile, funzionale e rapida del caro, vecchio tram.
I fringuelli si erano perciò giocoforza dovuti separare nell’importante atto di compiere il proprio dovere di cittadini, l’uno in un seggio, quello di prima, l’altra nell’altro, chissà dove, ritrovandosi poi nel bar di Piazza della Consolata a sorseggiare un bicierin, che il clima frizzante ancora invogliava a consumare. Felici, stravolti, ma esistenti.
«Signor Reale, dai nostri terminali quanto le è stato detto in Posta è corretto.»
Le parole dell’impiegata dell’ente creditore gli gelano il famigerato sangue nelle famigerate vene.
Lasciato l’ufficio postale, Valerio s’è fatto il suo bel pezzo di strada a piedi, che per sbollire l’anima non c’è niente di meglio di una passeggiata, e a passo spedito ha coperto lo spazio di quasi sei fermate della metropolitana, fino alla sede degli uffici dell’azienda elettrica, in un quarto d’ora scarso. I tempi e i modi di una passeggiata classicamente intesa sono altri, insomma. Si fa per dire.
«Abbia pazienza e ricapitoliamo» propone Valerio all’impiegata dell’azienda elettrica di ’sta cippa. «Lei ha la mia bolletta in mano, giusto?»
«Giusto.»
«Le ho consegnato, insieme alla bolletta, la carta d’identità. Ci siamo anche qui?»
«Ci siamo anche qui, signor Rea…»
«La prego, si fermi. Non mi chiami signor Reale. Un nome del genere, in una situazione simile, preferisco non sentirlo. Capisce? È… ecco, è destabilizzante.»
«Capisco.»
«A proposito del nome: il nome sul documento è il medesimo della bolletta?»
«Sì.»
«Stesso dicasi per l’indirizzo?»
«Stesso dicasi per l’indirizzo.»
«E allora perché dai vostri computer non risulta un contratto emesso a mio nome?!»
«Perché nei nostri computer non c’è nessun contratto intestato a lei, signor Rea…»
L’uomo che non esiste, Intermezzi, Gianluca Mercadante. La cui prosa è splendida, si sa. Lo sanno tutti, anche il panda rosso. Come dite? Cosa c’entra il panda rosso? C’entra, c’entra, eccome se c’entra. Anzi, verrebbe proprio da sostenere, senza tema di smentita, che si tratti dell’unica, sola, vera, reale, autentica misura di tutte le cose. Altro che uomo a immagine e somiglianza di qualcun altro ben più alto in grado, nella gerarchia sociale, diamine! Il racconto si legge che è una bellezza, tratteggia con tinte brillanti tutto il pirandellismo – umorismo e umana tragedia intessuti insieme, dunque – della società contemporanea, che ha reso precari anche i sorrisi, e non solo perché spesso e volentieri non ci si può più permettere di andare dal dentista, a meno di recarsi in qualche paese dell’est, e in cui può dunque capitare, complice una burocrazia tra Kafka e Zootropolis, persino di scoprire, una mattina come quasi tutte, di non esistere.
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