di Gabriele Ottaviani
Dopo aver letto il suo bel libro, Convenzionali ha il grande privilegio di intervistare Guido Mina di Sospiro, autore della Metafisica del ping-pong.
Da cosa nasce il suo libro?
Nasce dal riaccendersi di una passione giovanile sopita perché nel frattempo ce ne erano delle altre, come la chitarra e la scenografia. Giocando un giorno al Big Sur, dove era di casa Henry Miller, contro mio figlio, e perdendo clamorosamente, ho sentito il desiderio di ritornare a praticare questo sport. Così mi sono avvicinato a questo centro, a questa comunità, per lo più cinese e del sudest asiatico: ed erano tutti giocatori formidabili. Quella è stata la mia fortuna. Se fossero stati tutti giocatori normali, come me, mi sarei sentito bravo e non mi sarei impegnato più di tanto: invece il loro modo di giocare era sconcertante, non ci capivo nulla.
Dunque tutto questo è iniziato per sfida?
Diciamo che è stato un percorso iniziatico, espressione che non avrei mai pensato di utilizzare né tantomeno di abbinare al ping-pong. E in effetti è un po’ quello che si legge anche nel libro, in cui si passa dal sublime al ridicolo, facendo anche un confronto fra le due civiltà.
Quindi ha avuto modo di constatare che occidente e oriente hanno due approcci alla vita, mentalità e formazioni diverse.
Sì, se da noi predomina il concetto di causalità per loro è fondamentale quello di accidentalità. Jung, leggendo l’iChing, si sorprendeva del fatto che il sacro testo gli apparisse come essenzialmente dedicato agli aspetti accidentali dei problemi, mentre noi siamo molto più attenti al rapporto causa-effetto. Che esiste, naturalmente, basti pensare al fatto che lei ha composto un numero che corrisponde a un telefono attraverso il quale stiamo parlando. Ma questo non significa che l’universo funzioni con le stesse regole che applichiamo a cose così terra terra: questo è un errore che certo occidente fa.
E cosa regola dunque l’universo secondo lei?
Beh, noi siamo abituati a dire che la fortuna sia una dea bendata. La filosofia orientale dimostra che in realtà ci vede, l’abilità sta nel farsi concavi quando l’universo si fa convesso e viceversa. Leggendo le autobiografie dei grandi personaggi di successo tutti riconoscono un grande ruolo alla fortuna, quasi come se fosse stata lei a scegliere loro. In realtà è il contrario: probabilmente chi riesce nella vita ha saputo, forse anche inconsapevolmente, interpretare i segni che gli venivano mostrati. Sono concetti che esistevano anche nella cultura occidentale, basti pensare agli antichi Romani, ma che poi sono stati accantonati a causa del trionfo del determinismo. La filosofia orientale è assolutamente antideterminista: i nessi ci sono, ma non sono evidenti, e certo non è semplice trovare una maniera che funzioni per tutti.
Che messaggio vuole lasciare ai suoi lettori?
Vari. Innanzitutto che il ping-pong è divertentissimo e assolutamente poco dispendioso, a qualunque livello lo si pratichi. Se poi si diventa campioni e si impara a gestire quel famoso spin di cui parlo anche nel libro allora si vede che tutto è non euclideo, niente affatto lineare: si apre un mondo nuovo. Se ci si appassiona al ping-pong bene, poi, ma naturalmente se si sveglia, o risveglia, un interesse che porti ad approfondire le tematiche e le letture filosofiche ancora meglio.
Convenzionali si occupa di cinema e letteratura: un film e un libro che significano molto per lei.
Il film è Il grande Lebowski, su cui ho scritto due saggi: per me è il migliore mai fatto. Il libro in realtà è una serie intera, di George MacDonald Fraser, Flashman, che prende spunto da un romanzo ottocentesco inglese in cui vengono narrate le avventure di un ragazzino vessato da un bullo. La serie di romanzi – li ho letti tutti, alcuni anche più di una volta – di MacDonald Fraser parla del bullo cresciuto, che va in giro per il mondo, è orribile e codardo eppure premiato in ogni modo e maniera dalla società. In tempi di politicamente corretto un antieroe comico e sconcertante in maniera divertentissima.