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“Dalle rovine”

dalle_rovine_cover_HRdi Gabriele Ottaviani

Poi avvenne tutto come doveva avvenire. Maribel non tremò quando Rivera si sistemò di fronte a lei con i quattro serpenti che gli adornavano le spalle come i capelli di una Medusa. Aveva scelto due vipere, un corallo e un grosso crotalo grigio che sembrava dominare gli altri e condurre il gioco. Maribel iniziò a respirare più forte. Con le mani seguiva sul suo corpo le carezze dei serpenti sul corpo di Rivera. Tutto quello che riuscimmo a pensare fu che era bella e che il suo corpo era una finestra. Nessuno di noi riusciva a muoversi, a parte Laudata che faceva ruotare lentamente la steadicam. Sudava freddo ogni volta che si avvicinava a Rivera. L’obiettivo gli permetteva di vedere i serpenti da vicino, di infilarsi tra le loro squame e nelle loro gole. Il corpo di Maribel emanava un profumo esotico, riempiva la stanza di quell’odore dolce. Anche se quella era la prima volta, anche se a un metro da lei quattro serpenti provvisti di veleno letale strisciavano sul corpo nudo di un uomo, la ragazza aveva puntato gli occhi negli occhi di Rivera e li aveva lasciati lì mentre con la mano sinistra si toccava il clitoride, e i quattro serpenti stringevano il pene di Rivera, il cui volto aveva iniziato a contrarsi. Durò qualche minuto. Birmania osservava con le braccia conserte e gli occhi spalancati. Aveva la faccia illuminata di verde. Lau data riprendeva, in preda a una specie di trance. A un certo punto sembrò che qualcosa esplodesse dentro l’appartamento e che l’onda si propagasse per il palazzo, fino alla strada. Rivera e Maribel urlarono come lupi, rovesciando le teste all’indietro. Le teste e le schiene scattarono nello stesso momento e fu incredibile, perché nessuno se lo aspettava ed era da escludere che l’avessero preparato. I loro corpi sembravano pietrificati. Quando tutto finì, tornarono a guardarsi, esausti. I serpenti scivolarono via dal pene gocciolante di Rivera e si arrotolarono l’uno sull’altro sul pavimento. Il fuso argentato del crotalo scivolava sulle spire più fragili degli altri tre. Laudata, sempre in punta di piedi, spostò l’inquadratura sul viso di Rivera, poi su quello di Maribel, poi lungo la parete delle teche fino alla gabbia in un angolo della stanza, dove i topi brulicavano ammassati.

Luciano Funetta, Dalle rovine, Tunué. Entrato nella longlist del Premio Strega. A buon diritto, anzi, ottimo. Ha trent’anni, ma la sua prosa è di una maturità impressionante, che pare antica. Al tempo stesso è fresca, originale, intelligente, curata, sapida, variegata, multiforme come la più classica delle traduzioni dell’incipit dell’Odissea ci ha insegnato a considerare l’ingegno del padre di Telemaco, caleidoscopica, altamente simbolica, raffinata, freudiana. Dopo vari racconti si misura per la prima volta col romanzo, ed è una rivelazione. Rivera vive in periferia, nella spersonalizzante Fortezza, e colleziona serpenti (è una passione per cui ha rinunciato con un sorriso persino a moglie e figlio), e grazie a un video amatoriale entra in contatto col mondo della pornografia d’arte, e in particolare con Alexandre Tapia. Argentino, enigmatico, seducente, perverso. E se il succitato Ulisse ha vissuto l’esperienza della nekyia, qui non sono i morti a essere evocati, ma è Rivera che scende agli inferi, in una claustrofobica spirale di squallore. E niente sarà più come prima. Un esordio brillantissimo, da non perdere.

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2 risposte a "“Dalle rovine”"

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