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“Equazione di un amore”

equazione-di-un-amore-sparacodi Gabriele Ottaviani

Si è sfilato i pantaloni e indossa solo la camicia. È concentrato sulla tastiera. Ciocche di capelli scuri gli affollano il viso, le spalle contratte, la schiena ricurva, il corpo che oscilla seguendo il movimento delle mani. C’è una bottiglia di rum aperta sul pavimento e accanto un bicchiere vuoto. Sono passati sette anni dall’ultima volta che Lea ha ascoltato quel brano, eppure le sono bastate poche note per riconoscerlo: è il Concerto numero due di Chopin. Non appena lui si accorge della sua presenza, smette di suonare. Ha una faccia stravolta, gli occhi velati di malinconia. Forse non era per la gelosia che si era incupito in quel modo.

Si sono incontrati grazie a un errore di calcolo, senza il quale nulla sarebbe accaduto. È stata la matematica: d’altro canto è noto che esistano delle funzioni, determinate da certe equazioni, la cui rappresentazione grafica assume la forma di un cuore. Il cuore, forse l’unico organo protetto da una vera membrana. Il cuore, che in fondo è solo una pompa, diastole e sistole, sangue che va, sangue che viene: eppure gli attribuiamo un significato diverso, un ruolo differente. Partecipa di noi, con noi, per noi. Perché quando siamo tristi sembra fermarsi, perché quando moriamo cessa del tutto di battere, perché quando abbiamo paura o siamo in preda alla più pazza delle felicità (quanto è sottile il confine fra i due sentimenti) corre, galoppa, ci salta nel petto, sussulta, gorgoglia, si anima, si agita, ci fa capire che c’è una tempesta in atto, bella o brutta che sia, che l’equilibrio statico, la quiete e la calma sono un ricordo lontano, per il momento, ma forse potranno tornare a farci compagnia. O magari invece la nostra vita sarà in futuro tutta un sussulto, un ottovolante, una sinusoide. Da un certo momento in poi qualche volta succede che tutto cambi, e che tu non possa farci niente. La vita ha le sue opinioni, non è come la matematica. Due più due fa sempre quattro, al massimo dieci o undici, se conti in base quattro o in base tre, ma non potrà mai fare cinquantasette, e una radice quadrata non può essere minore di zero, quel numero arabo e tondo per il quale non è nemmeno possibile dividere. Ci sono cose possibili e cose che non lo sono. Sarebbero state due rette sghembe i due protagonisti, non solo parallele, ma addirittura non complanari: non si sarebbero incontrati mai. Se non fosse stato per un errore. Ma cos’è davvero un errore? In fisica è qualcosa che va comunque considerato, perché è ineliminabile. Ci sono strumenti più o meno precisi, ma non perfetti. E il cuore che strumento è? Lea, che in fondo è ancora la ragazzina che ha dato il primo bacio in terza media nel garage dell’amica Bianca durante il solito gioco della bottiglia che ci ha tenuto e tiene compagnia da quando esistono le bottiglie, probabilmente, ha lasciato Roma per Singapore. Al seguito del suo affidabile marito, Vittorio. Un avvocato di successo. Che da anni vuole un figlio. Ma lei non è pronta. Poi ci provano, ma i figli si sa che arrivano quando vogliono loro. Il trasferimento in compenso le ha ispirato un libro. Un romanzo. L’unico che sia stata in grado di completare. Che ha spedito a tutte le case editrici che conosce. Non le risponde nessuno. All’inizio. Poi sì. E deve tornare a Roma. E incontra di nuovo quella retta che avrebbe dovuto essere sghemba ma non lo è stata. Cupido ha tante frecce al suo arco, anche a forma di logaritmi. Chiamatelo destino, moira, fato, amore, come volete. Ineluttabile e bellissimo. Come il romanzo della sempre più brava Simona Sparaco, per Giunti. Equazione di un amore. Travolgente, emozionante, imperdibile.

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