Intervista, Teatro

“Edith” – Intervista a Sarah Biacchi

Sarah Biacchi foto di scenadi Gabriele Ottaviani

Cantante, attrice, artista: Convenzionali intervista Sarah Biacchi, protagonista di Edith.

Che spettacolo è Edith?

Edith è un biopic, vale a dire un viaggio nella vita di una grande icona. Ne sono stati fatti tanti, su molte dive del passato. Io ho avuto l’illuminazione su Edith perché da tempo ne cantavo le canzoni. Il viaggio dura circa un’ora dove lei racconta non solo la sua vita, ma soprattutto la sua visione del mondo e dell’amore. E canta, canta, canta.

Interpretando un’icona, un’artista, una donna così straordinaria, su cui si è scritto e detto di tutto, che ha vissuto tra le stelle e nella polvere, protagonista di film in cui l’ha incarnata persino una sublime attrice da Oscar come Marion Cotillard, cosa si prova? A quali risorse attinge l’attore?

È stato molto importante il lavoro fisico fatto su Edith, uno studio importante sulla fisicità artritica e su un corpo “storto”. Da quel corpo storto usciva una voce straordinaria, e questo è il secondo fattore che mi ha avvicinato a lei. “Ma come fa ad uscire tutta quella voce da quel corpicino??”. Me lo sono sempre sentita dire, sin da quando ero piccola. E devo dire che l’affinità con Edith è andata oltre. I problemi agli occhi, sopportare una vita così pesante, imparare a ridere delle proprie valli oscure. Diciamo che il lavoro grosso l’ho fatto fra Sarah ed Edith. All’inizio ero molto presente. Poi piano piano io sono andata a dormire, ed è cresciuta la vera Edith Piaf. Si prova molta energia, molta sofferenza. Ma anche molta fortuna.

Qual è l’aspetto migliore del suo lavoro? E il peggiore?

L’aspetto migliore del mio lavoro è che quando lo si fa bene ci si sente completamente felici, completamente in pace con se stessi. Cantare bene e recitare bene sono due emozioni diverse, ma entrambe sono accomunate dal caleidoscopio della libertà. Puoi essere chi vuoi e in qualsiasi modo desideri. Questo non è sostituibile, non è pagabile, è una sensazione immensa a cui si fatica a rinunciare. L’aspetto peggiore del mio lavoro? Mi viene quasi da ridere. Il mio lavoro sta morendo. Ogni giorno se ne va un pezzo. Io lotto furiosamente contro la logica dei “nomi”, in teatro. Contro la fama a tutti i costi come sopravvivenza a fronte del talento. L’aspetto peggiore è vedere con gli occhi lucidi che il talento non è più sufficiente per campare una vita col teatro. Quando ho iniziato erano gli ultimi anni di un’altra era. È stato anche il primo anno del Grande Fratello. Hanno aperto le porte delle discoteche e da allora chiunque può diventare chiunque. Fa male, credetemi.

Lei è anche cantante lirica: se dovesse spiegare cos’è l’opera a qualcuno che non ha mai nemmeno sentito parlare, cosa direbbe?

La lirica è un paradiso di sensazioni. Se i cantanti sono grandi cantanti anche un bambino può sentire la festa di un suono che diventa filatissimo e poi rinforza, il miracolo di una melodia celestiale associato ad una regia che trascini tutto in immagini oniriche e grandiose. Direi che bisogna abbandonarsi all’opera. Leggere la storia prima aiuta molto a divertirsi, ma in sintesi va benissimo sapere: “Un soprano innamorato di un tenore mentre un baritono tenta di dividerli”.

La sua interpretazione di Buonanotte, mamma è stata davvero sensazionale: cosa si sente ad affrontare un testo e un ruolo del genere?

Jessie di “Buonanotte mamma” è un’altra parte di me, quella che ha volontariamente scelto di prendere la via più breve per sfuggire al dolore. La libertà estrema, appunto, certamente egoistica e vigliacca, ma tanto efficace per scappare da ciò che ci annienta. Jessie è la summa delle libertà esprimibili. Avendo scelto di morire può permettersi di trascorrere le ultime ore della sua vita facendo e dicendo ciò che desidera, amando come voleva amare, completamente nuda. È come buttarsi nelle acque di una cascata. Si rinasce. E quando interpreto Jessie poi io sono più viva di prima.

Chi sono i suoi modelli?

Io seguo da sempre tre attrici. Le amo come fossi un corteggiatore antico e “rubo” la loro arte. Mando loro anche fiori per quanto le stimo e le abbraccio commossa al termine dei loro spettacoli. Mascia Musy. Laura Marinoni. Elisabetta Pozzi. Bravissime. Le adoro.

Se dovesse descriversi utilizzando un colore, quale sceglierebbe e perché?

Beh… un colore che mi sento di essere è certamente il bianco.  Più che altro per la luce. La luce bianca ha in nuce tutti gli altri colori. Ma se proprio volessi essere qualcosa, mi piacerebbe essere pulviscolo. Pulviscolo dorato. Come la polvere di stelle. O la polverina che fa fare i sogni se sparsa sugli occhi nel Sogno di una notte di mezz’estate di Shakespeare.

Può elencarci tre libri e tre film che hanno particolarmente segnato la sua formazione?

Ora faccio coming out. Tutti mi prendono in giro per i miei gusti letterari,  ma ho scoperto che col passare degli anni è giusto essere se stessi. Quindi mi denuncio. I tre libri che hanno segnato la mia formazione artistica sono:

  1. Uccelli di rovo
    2. La figlia di Mistral
    3. Tutta la saga di I love shopping.

So di apparire poco intellettuale, ma questi libri sono costruiti in modo superlativo e mi hanno aperto le porte del mondo dove volevo andare. Per mestiere mi confronto con i grandi drammaturghi, da Williams a Shakespeare a Cechov e tutta la drammaturgia del melodramma. Nella vita la commedia e il romantico li ho trovati più di tutto in questi testi che mi fanno sentire leggera come un palloncino, ridere e piangere. E anche se passa il tempo non smettono mai.

I 3 film sono più classici:

  1. Il silenzio degli innocenti
    2. The detachment (che ha cambiato il mio concetto di cinema).
    3. Schlinder’s list.

Anche questi hanno fatto fiorire la mia voglia di fare arte e mi hanno ridato la benzina quando se ne andava un po’. Sono sempre con me.

Cosa deve tenere a mente chi voglia fare l’attore?

Chi vuole fare l’attore, a parte il fatto che deve sapere quanto sia una scelta ardua, deve iniziare presto, almeno in questa fase del mercato. Da giovanissimi c’è molto più lavoro ed è più facile farsi conoscere. È anche più facile scomparire, ma si parte con un grosso vantaggio. Poi: salvo eccezioni rarissime l’aspetto e la cura di sé sono determinanti. E per cura di sé parlo soprattutto di quella spirituale, culturale, formativa. Quindi si deve iniziare a studiare con impegno e potenza prestissimo, quasi da bambini. Dopodiché è bene fare tante esperienze anche all’estero per capire dove sia la propria destinazione finale.

Quale ruolo sogna di interpretare?

Spero molto presto di fare Blanche Du Bois nel Tram che si chiama desiderio. La sento che mi aspetta. Ho ancora qualche anno prima di incontrarla. Sarà un abbraccio infinito con una parte che ho conosciuto troppo presto. Solo dopo la quieta felicità che sto costruendo potrò permettermi di tornare nel pozzo scuro dove tutto è cominciato. Finalmente in pace.

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