David ha quindici anni ancora da compiere, colleziona bocciature, vive con un nonno a cui sta venendo meno la salute, ha un amico con cui si mette in guai piuttosto grossi, una madre che non sa come sbarcare il lunario e una sorella con la quale non condivide il padre. Degrado, disagio, squallore, in una Lisbona che non appare niente affatto accogliente. E il caos dell’adolescenza, la scoperta di sé e dell’altro, dell’amore e del sesso, con cui fare i conti: Montanha, del trentunenne João Salaviza, che esordisce alla direzione di un lungometraggio dopo che con Arena e Rafa (entrambi corti) ha vinto rispettivamente nel duemilanove e tre anni dopo la Palma d’oro e l’Orso d’oro, non convince fino in fondo, e non si può nemmeno definire un compiuto Bildungsroman, perché la mano registica e la scrittura appaiono a tratti insicure, altalenanti, e lo sviluppo, soprattutto nelle fasi centrali, si perde nei volteggi di un ritmo un po’ farraginoso. Ma regala anche dei momenti di interesse, intensità, grazia, poesia e dolente tenerezza.