Everest. Di Baltasar Kormákur. Con Jason Clarke, Josh Brolin, John Hawkes, Emily Watson, Sam Worthington, Martin Henderson, Michael Kelly ed Elizabeth Debicki. Ispirato anche a Jon Krakauer, o meglio a un suo libro, come Into the wild. L’abbiamo già detto, che ha fatto dei danni… Il film di apertura – fuori concorso – della settantaduesima edizione della mostra del cinema di Venezia, che ha per madrina la splendida Elisa Sednaoui, e che vede in giuria Alfonso Cuarón, Diane Kruger, Elizabeth Banks, Emmanuel Carrère, Nuri Bilge Ceylan, Pawel Pawlikowski, Francesco Munzi, Hou Hsiao-hsien e Lynne Ramsay (mentre per Orizzonti selezioneranno il miglior film Jonathan Demme, Alix Delaporte, Paz Vega, Fruit Chan e Anita Caprioli, e per l’opera prima Saverio Costanzo, Roger Garcia, Natacha Laurent, Charles Burnett e Daniela Michel), conferma le attese. Ovvero delude. Lento, noioso, retorico, senza identità, raffazzonato, o meglio rabberciato, poiché i passaggi narrativi, ammesso che si possa parlare di narrazione, dato che in realtà si dice molto poco, sono giustapposti fra loro più che armoniosamente legati, irrisolto, non genera la minima empatia benché sia basato su una storia vera (la letale spedizione della primavera millenovecentonovantasei) e anzi appare indeciso se essere un bio-pic, un documentario o una pellicola di finzione, non riuscendo a imboccare nessuna delle tre strade. Inoltre è pieno di personaggi – su tutti quelli di Robin Wright e Keira Knightley, di rara inutilità – che per lo più suonano posticci: il solito problema dei film corali con tanti grandi nomi piazzati in blocco in locandina per richiamare l’attenzione, insomma. Non tutti sono Altman, d’altro canto, e forse sarebbe anche chiedere troppo, ma vedere gente che si inerpica sul tetto del mondo con i Ray Ban fa pensare a un reality più che alle cordate con annessi sherpa e yak. D’altronde, la strategia commerciale è stata chiara sin da molto prima dell’uscita in sala, quando sul web si è scatenato il consueto banalissimo bailamme a suon di nudità specchietto per allodole per attirare l’attenzione (nella fattispecie quelle di Jake Gyllenhaal, per una sequenza di foto rubate o presunte tali col solo vestimento leggero, per citare La pioggia nel pineto di D’Annunzio, di un mestolo in mano: immagini che però nella versione vista non ci sono affatto): in definitiva agghiacciante, ma non per le temperature dell’Himalaya. E il 3D non aggiunge nulla. Cominciamo bene…
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