È strano. Ma, di tutta la tempesta che mi batteva le tempie, mi restava solo un’immagine. Mia madre giovane, non ancora teschio, polvere e carezze mancate, in posa nel suo letto, tutta coperta di banconote da diecimila lire, quando erano le lenzuola dei poveri, così tante da farsene una sottoveste di carta e filigrana dentro cui simulare l’unico orgasmo possibile senza doverlo confessare al prete.
Giancarlo Dotto, per molti anni assistente alla regia di Carmelo Bene, è giornalista di chiara fama. Si dedica anche alla narrativa, e pubblica ora Sono apparso alla mia donna (Tullio Pironti editore), che è un libro davvero buono. L’idea di base è fulminante, e lo sviluppo è coinvolgente, articolato, giocato su una continua dicotomia, su più piani di lettura e diversi registri, persino quello ridicolo e grottesco, amalgamati con equilibrio. Torbido e avvincente, narra di Presunto – nome parlante come da tradizione teatrale classica – e dei suoi viaggi, non solo nello spazio ma anche nel tempo, nelle memoria e dentro di sé. Deve mettersi in discussione, lui che spontaneamente con ogni probabilità non farebbe altro che aggiungere giorni alla vita e non vita ai giorni, con un’indolenza che nemmeno Oblomov. Vive in Brasile e ama Maria. Che è figlia dell’amante del padre di lui. E che è stata violentata dal padre di lui, che era sposato con la di lui madre, morta di crepacuore. Come la madre di Maria, giovane e bella, indispensabile a Presunto come l’acqua o l’aria. E Maria chiede una vendetta. Non solo per sé. Vuole che il padre di Presunto muoia. Vuole che sia Presunto a ucciderlo. Ma…
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