Quando la gente dice: Ne prendo atto, di solito, sta per iniziare una guerra. È la finzione cinematografica che condiziona la vita di tutti i giorni, specie quando sei lontano dal film della sera. I due pensieri mi cadono sulle scarpe e l’unico filo che li tiene insieme è che io, Ne prendo atto, l’ho sentito dire spesso in televisione.
Il Premio Calvino è una garanzia di qualità. Un po’ come sapere che un film è passato per Cannes. E Perché non sono un sasso di Gianni Agostinelli per Del Vecchio editore non fa eccezione. Ciononostante, e forse a maggio ragione, conferma la regola. È un gran bel libro, che parla con distacco, levità mai superficiale e felice ironia di precariato, anche, se non soprattutto, esistenziale, di assenza di lavoro, vagheggiamento del passato e luoghi comuni da sfatare. È descritta in modo mirabile l’impossibilità di appagare anche i desideri più piccoli che spesso attanaglia molte persone in questi tempi complessi, e il protagonista – figura riuscitissima e intelligentemente ritratta – si ritrova a osservare la gente, a seguirla, per cercare di capire e carpire il segreto della normalità. Quale che sia. Se esiste.